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martedì 30 novembre 2021

Il commissario e l'avvocato-20


L’indomani era venerdì e come ogni settimana, alle dieci in punto, si tenne la riunione del team operativo della squadra omicidi capitanata dal commissario Santiago De Candia.

Il commissario faceva sempre in modo che il numero dei fascicoli non superasse mai il numero di sei, massimo sette, tra nuove acquisizioni che arrivavano  e vecchi fascicoli che tornavano in procura per l’archiviazione.Ma anche per la proroga semestrale delle indagini ovvero per il rinvio a giudizio dei vari indagati, a secondo di quello che reputassero  più opportuno i vari procuratori titolari delle indagini, fossero essi sostituti o capi procuratori.

La mattinata di lavoro iniziò con l’analisi del fascicolo dei due fratelli uccisi a Settimo San Pietro. L’evento criminoso si inseriva in una faida che durava da oltre mezzo secolo e le indagini erano in completo stallo. Impossibile rompere quel muro di omertà che si ergeva attorno a queste vendette, che finiscono quasi per diventare un fatto privato delle famiglie in guerra. Probabilmente ci sarebbe stato, tra qualche mese o tra qualche anno, un’altra vendetta, e la catena della faida si sarebbe allungata ancora con il sangue di nuove vittime. «Ci vorrebbe l’occhio del Padreterno, come per Caino e Abele!» disse sconsolato l’ispettore Zuddas che si era buttato anima e corpo nell’indagine, e quel mondo agropastorale lo conosceva abbastanza, essendo stato sposato con la figlia di un possidente allevatore di bestiame del quale, in realtà, non era mai riuscito a penetrare la complessa personalità fatta di codici d’onore, di usi e costumi tanto arcaici, quanto barbari che lui non condivideva di certo.

La squadra era stata più fortunata nel caso della prostituta strangolata. Il sovrintendente Farci era riuscito a mettere il sale sulla coda a un protettore che tentava di farsi largo a discapito di altri suoi colleghi. Un lenone emergente e rampante, lo aveva definito l’ispettore con una delle sue mirabili pennellate letterarie tratte dal suo infinito repertorio latino, mandando su tutte le furie il sovrintendente Farci, ma facendo sorridere nascosto dai baffi, il commissario De Candia.

Del corpo privo di arti e restituito dal mare erano ancora in attesa delle analisi dell’istituto di anatomopatologia e di qualche riscontro dalla banca dati del DNA.

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sabato 27 novembre 2021

Il commissario e l'avvocato - 18

 

Santiago, non senza difficoltà, a causa della sua robusta corporatura, si era affacciato fuori dal lucernario. Scese però con insospettata agilità dalla scaletta in legno per consentire all’avvocato di salire a sua volta. Luisa Levi annuì dopo essere ridiscesa, invitando il commissario a continuare.

«Be’, magari per non rischiare di essere visto, avrà aspettato in cima alla scaletta, pronto a squagliarsela se soltanto avesse sentito qualcuno salire su per le scale.»

«Ma i Carabinieri, convinti di aver preso il vero e unico assassino non hanno neppure pensato di salire quassù a controllare!» lo anticipò con convinzione l’avvocato che ormai aveva capito dove volesse andare a parare l’arguto commissario, dando a intendere che condivideva la sua ricostruzione.

«Esattamente!» esclamò lui, contento che la sua amica lo seguisse e fosse d’accordo con la sua ipotesi. «Quando finalmente si sono calmate le acque è ridisceso e ha finito l’operazione per cui probabilmente era venuto. Svaligiare la casa della vittima.»

«Un topo d’appartamento. Certamente un ladruncolo dotato di sangue freddo!» commentò Luisa riflettendo.

«Ancora non sappiamo con certezza se sia davvero entrato con l’idea di rubare o di fare altro…» disse in maniera sibillina il commissario.

«Al di là di questo, la tua ricostruzione mi sembra abbastanza plausibile» convenne Luisa. «Vieni,



rimettiamo tutto a posto e andiamocene!»

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giovedì 25 novembre 2021

I Thirsenoisin - 3

 

Mandis, appena partito Damasu,  si mise  subito in viaggio verso Nora. Avrebbe raggiunto a cavallo prima Karalis, poi da quel porto avrebbe comandato un barchino per Nora. Ve n’erano tante di imbarcazioni, grandi e piccole, merci e passeggeri, che collegavano le due città Shardana. Lo seguivano i suoi due servi più aitanti e fedeli,  mentre gli altri servi erano rimasti a guardia del suo emporio, a S’Aquagotta. Per l’ora di pranzo i suoi veloci cavalli lo avevano già condotto al porto di Karalis. Lì sostò per il pranzo e chiese  un’imbarcazione che lo trasportasse velocemente a Nora. Dopo pranzo incaricò i due servi di fare riposare i cavalli ancora un po’e di raggiungerlo a Nora, nella casa del mercante Gairo.

Gairo, il ricco mercante di Nora, padre del giovane Usala e membro di spicco del Senato,  più volte Arconte di quella città,  lo aspettava. Più che amici, col tempo, erano divenuti alleati. Li accomunavano  il gusto per gli affari e la sete di potere. E in più l’odio verso i  Nuragici, che lui chiamava, pensando di sminuirli, popolo dei bronzetti, ma che in realtà erano conosciuti come i Thirsenoisin,  famosi come il popolo che aveva saputo edificare le più alte e maestose torri al tempo conosciute: i Nuraghi .

Gairo si era arricchito grazie al commercio del sale e dei tessuti. Era padrone di una considerevole flotta e veniva considerato il più abile mercante di Nora e sicuramente uno dei più ricchi, se non addirittura il più ricco. Aveva capito subito l’indole di quel nuragico solitario che si era messo a mercanteggiare in un luogo così lontano dal suo villaggio. Aveva appreso la sua storia personale, le sue origini e l’odio che covava per il suo rivale Itzoccar, il potente capo tribù di Kolossoi. Aveva deciso, d’istinto, che conveniva investire tempo e danaro su quell’uomo. Lo aveva aiutato nelle sue velleità di commerciante. L’uomo aveva delle indubbie capacità; non era uno stupido insomma, anche se come tutti i Nuragici, aveva una buona dose di presunzione e di ingenuità.

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Omicidio a Cagliari- 10

 

 

Il sabato pomeriggio, verso le 16,30 il commissario Santiago fu svegliato dalla vibrazione del suo cellulare. Il suo rapporto con la tecnologia era stato da subito ambiguo, per non dire schizofrenico.

Finché aveva potuto,  aveva resistito con la sua macchina da scrivere Olivetti e senza cellulare. Poi, per amore di sua moglie, si era rassegnato a portare con sé un cellulare; e in ufficio era arrivata, obbligatoria e improrogabile, la nuova tecnologia informatica; e anche lui si era dovuto piegare all’uso del computer e degli altri strumenti informatici.

Erano  innegabili i vantaggi che la nuova frontiera tecnologica aveva portato con sé: la velocità della comunicazione via Internet, consentiva la trasmissione di documenti e messaggi scritti e vocali in tempo reale e in maniera diretta; la redazione dei documenti era agevolata dalla possibilità di correzioni multiple e contestuali, oltre che dalla eventualità di  redigere i nuovi documenti, partendo dai vecchi; e le informazioni viaggiavano alla velocità della luce da un capo all’altro del globo, comprese le informative tra le questure e tra queste e le direzioni generali del ministero; anche lo scambio di informazioni con le sezioni criminali estere (criminalpol, europol e quant’altro) era divenuto più diretto e immediato. Eppure, mentre si adeguava di buon grado a quella inarrestabile rivoluzione tecnologica, forse per un inconscio atteggiamento di autodifesa verso quei rinnovamenti troppo repentini e  incontrollabili, capaci di travolgere secoli, se non millenni, di abitudini acquisite, il commissario De Candia, si immergeva tuttavia,  in un mare di nostalgico romanticismo, dove il passato assumeva i contorni di una epopea di felicità ormai perduta.

Amava ripetere, al proposito, che per fortuna gli altri uomini erano diversi  da lui, altrimenti l’umanità si troverebbe ancora a vivere nelle caverne o tutt’al più nelle palafitte, procacciandosi il cibo con arco e frecce; e magari  avrebbe trascorso le notti d’estate sotto il cielo stellato, trasmettendo oralmente   fantastiche storie di magiche avventure, custodendo i segreti della scienza e della medicina dentro templi di pietra e adorando improbabili dei sotto la luna splendente.



Si trattava evidentemente di una iperbole, provocatoriamente assurda e indifendibile, ma c’era un fondo di verità in quei discorsi, emblematici di una personalità conservatrice e  riservata, quasi votata a un  monachesimo profano o a un eremitismo romantico.

E il suo cellulare non aveva suoni ma solo vibrazioni; quasi una rivalsa verso un mezzo al quale non voleva concedere uno spazio di intervento troppo ampio.

continua...

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lunedì 22 novembre 2021

Il commissario e l'avvocato - 16

 

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Quando tornò con diversi mazzi di chiavi, il commissario aveva svuotato quasi del tutto il primo cassetto, disponendo il contenuto che aveva estratto sul letto della povera vittima, più o meno nello stesso ordine in cui lo aveva trovato.

«Ecco tutte le chiavi appese nell’ingresso. La chiave della cassaforte non c’è.  Quindi deve essere per forza qui!»

Così dicendo si mise a esaminare ciò che Santiago aveva estratto dal cassetto.  Nel frattempo il commissario rovistò negli altri cassetti del comò.

«A meno che…» disse Luisa mano a mano che si rendeva conto che la sua cernita e quella del commissario non avrebbero sortito alcun risultato.

«A meno che non se la sia portata via l’assassino!» completò il commissario, anticipandola.

«Quello vero!» precisò l’avvocato. Nel suo viso, adesso, l’incredulità aveva lasciato il posto a una certa soddisfazione. Alla sua tesi stavano arrivando conferme, scagionando definitivamente, se ancora ce ne fosse stato bisogno, il suo assistito anche agli occhi del commissario

«Per scrupolo io cercherei meglio. Magari la chiave è stata riposta dalla stessa vittima in un altro posto…magari anche nella tasca di una vestaglia. Che ne dici di rovistare insieme tutto l’appartamento?»

«Dico che va bene! Ma chissà perché io penso che non troveremo niente!»

Dopo un’ora abbondante la loro ricerca certosina non aveva dato alcun esito. L’intuito dell’avvocato aveva visto giusto. Qualcuno aveva preso la chiave della cassaforte, portando via anche tutto il



contenuto, oltre la carta del bancomat e i soldi. E questo qualcuno poteva essere soltanto il fantomatico assassino senza volto.

«Ma come avrà fatto?» chiese Luisa come interrogando se stessa. «C’erano i Carabinieri, qui, in casa. Possibile che l’assassino avesse già svuotato la cassaforte quando sono arrivati i Carabinieri? E se aveva già svuotato la cassaforte cosa faceva lì in cucina, dove è stato trovato il corpo della signora Emma?»

«Vieni, andiamo su in mansarda. Io un’idea ce l’avrei!» disse il commissario avviandosi verso la ripida scala in legno che portava in mansarda.

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giovedì 18 novembre 2021

Il commissario e l'avvocato - 14

 

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Dopo tutto, in coscienza, lui sapeva di non compromettere le sue indagini. Anzi, l’aiuto dell’avvocato Levi sembrava costituire persino un valore aggiunto per la soluzione del caso.

Il commissario aveva ripensato molto alla giornata di domenica. Da quando era morta la moglie, più di cinque prima, non aveva avuto storie particolarmente coinvolgenti. Soltanto Luisa lo aveva in qualche modo conquistato. Non era soltanto un’attrazione fisica, anche se l’avvocato Levi aveva un corpo sodo accompagnato da una intelligenza vivace come piaceva a lui. In realtà quella donna esercitava su di lui un fascino indefinibile. Da un lato, materno con quella sua avvolgente sicurezza femminile e quel suo seno florido e prosperoso. Però, sentiva che quella professionista abile e caparbia fosse alla ricerca, come tante donne, di un punto di riferimento o di un centro di stabilità. La sua sicurezza e la sua grinta erano autentiche, solide e profonde ma, non di meno, egli intuiva che la sua femminilità avesse bisogno di un elemento di completamento che non sconfinasse e non collidesse con la rivalità professionale e il confronto quotidiano e continuo. D’altronde, non era forse uguale per gli uomini? Non cercavano anch’essi una figura femminile che li completasse, dando loro stabilità, protezione, affetto?

Sin da lunedì era incerto se mandarle un mazzo di rose rosse, come soleva fare, seppure in occasione di ricorrenze, con sua moglie. Il suo sarebbe stato un gesto per manifestarle la sua ammirazione, il suo ringraziamento per la bella giornata trascorsa insieme. Un gesto per dichiarare apertamente la passione che provava per lei.

Poi aveva optato di non inviarle perché tra loro non c’era stata una vera e propria spiegazione in occasione del loro casuale incontro del sabato precedente. Anzi lui aveva capito che il silenzio di lei nei mesi precedenti era da attribuirsi, non tanto alla sua paura di innamorarsi, quanto piuttosto al timore che dall’innamoramento passionale si potesse passare a una relazione piatta e ordinaria, fatta di abitudine e routine.

Aveva scelto così di darle tutto il tempo di cui lei avesse avuto bisogno. Neanche lui, in fondo, era in cerca di una relazione standardizzata sull’ordinario, priva di emozioni e fatta di abitudini e convenzioni. Santiago si era, alla fine, adeguato a quella che sembrava essere la scelta di lei. Un rapporto senza vincoli, ricco di sincerità, ma anche di libertà. Amore e indipendenza e con una travolgente passione da vivere alla giornata.

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martedì 16 novembre 2021

Il commissario e l'avvocato - 12

 

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Ripresero l’auto e a un certo punto della strada provinciale imboccarono una strada secondaria che portava, secondo le indicazioni stradali,  alle grotte de ‘Su Mannau’. Lì, in mezzo ai boschi, c’era il ristorante a cui si riferiva il commissario.

«Speriamo che sia aperto!» esclamò l’avvocato Levi appena l’auto fu parcheggiata all’ombra di alcuni possenti alberi.

Tutt’attorno, a vista d’occhio, non si vedevano altro che lecci, olivastri e macchia mediterranea.

«Tranquilla! Ho prenotato sin da ieri sera» disse il commissario.

In effetti erano attesi. Il titolare in persona li accompagnò a un tavolino già apparecchiato. Da lì potevano godere del paesaggio selvaggio che li circondava.

Scelsero un menù di mare, innaffiato con un ottimo vino bianco paglierino. Il commissario notò che Luisa non aveva perso il piacere di mangiare, né quello di accompagnare i suoi pasti con un buon bicchiere di vino. Non era frequente trovare in una donna entrambe le abitudini. O forse era lui che aveva conosciuto, soprattutto in casa sua, soltanto donne praticamente astemie e schifiltose nel mangiare, cui facevano da contrappunto uomini dalle buone forchette e dai gomiti snodati. Insomma era un piacere stare a tavola con quella donna, che in più era anche un’ottima conversatrice.  

Quando giunsero in vista di Buggerru era già pomeriggio inoltrato. Con il suo fuoristrada il commissario si inerpicò senza troppe difficoltà su un promontorio roccioso in cima al quale la loro vista dominava la baia di Cala Domestica.

Lì si fermarono a lungo e in silenzio, persi nei loro pensieri. E mentre Amàlia Rodrigues cantava i suoi strali di sofferenza, le loro anime si fusero in quella Saudade malinconica, pervase da quel languore fisico che solo il Fado, il Flamenco, il Blues e certe Canzoni Napoletane, nelle loro diverse e struggenti varianti, sanno dare. E quel silenzio li unì più di  tutte le storie che si erano raccontati dalla partenza, durante il viaggio nelle miniere, fino al ristorante, a ridosso delle antiche gallerie. Forse le loro storie incombevano e si calavano in quel silenzio e, attraverso i loro sensi, si proiettavano nel paesaggio circostante, frusciando tra cisti e ginepri, accarezzando olivastri e corbezzoli, appianando sino al mare della costa verde, dopo avere sfiorato i faraglioni, le falesie e le  torri spagnole che un tempo avevano difeso quelle coste dalle incursioni dei Saraceni.

Dopo che  il sole si fu  immerso nel mare, in cielo apparve una luce, quasi all’improvviso.

«Guarda com’è lucente e vicina!» disse Luisa Levi indicando quella luce sopra l’orizzonte.

«Dev’essere…»

«Venere!» concluse lei, precedendolo.

Lui si voltò a guardarla. Quella luce, quel nome, quella parola che lei aveva pronunciato, quasi leggendogli nel pensiero,  gli avevano  suscitato all’improvviso una trepidazione e un’emozione che ritrovò magicamente negli occhi di lei.

Rimasero così, a guardarsi negli occhi, per un lungo istante, stupiti di se stessi e della loro tenera trepidazione. Non dissero altro. Si baciarono a lungo. Poi i loro corpi si cercarono, con un’attrazione che gli spazi ridotti dell’auto sembrarono rendere perfino più forte e irresistibile.

Fu un’esplosione di passione, sotto la luce sempre più forte di Venere, mentre fuori il concerto dell’avi fauna e il frusciare del vento nella flora selvaggia,  accompagnava i loro sospiri e la danza dei loro corpi, fusi nel magico ripetersi di un atto, apparentemente sempre uguale, come il perpetuarsi della specie,  eppure  sempre diverso, come differenti sono le occasioni e le emozioni che culminano nell’amore.

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domenica 14 novembre 2021

I Thirsenoisin - 9

 


«E’ andato tutto in malora!» esclamò Norace, con il fiato corto per la corsa disperata,  saltando in groppa a uno dei cavalli.

«Mi racconterai tutto a casa! Adesso pensiamo a spronare le cavalcature verso la salvezza! Non passerà molto che ci daranno la caccia.» gli rispose Mandis, imitato da tutti i presenti.

Nel recinto circolare delle feste, intanto, nessuno aveva dato l’ordine di inseguire il giovane principe. Non certo Irisha, che aveva ordinato ai servi di trasportare Elki alla reggia per le cure immediate; non Itzoccar, ancora scosso e incredulo. Non il comandante delle guardie, che aspettava gli ordini del suo re; e neppure Madau, il secondo sacerdote, preoccupato soltanto per Elki. E della gran confusione avevano approfittato Norace e i suoi accoliti, guadagnando con circospezione l’uscita dal recinto delle feste.

Irisha aveva preparato in tutta fretta un cataplasma con Calendula, Salvia, Miele e Carpino nero, un raro estratto di betulla,  che cresceva soltanto nella foresta di Montarbu, dov’erano nati i suoi antenati di parte materna; aveva disposto la poltiglia su una pezza di lino  soffice  e l’aveva poggiata delicatamente sulla ferita di Elki; poi provvide a fasciarla con delle bende forti e strette. La ferita era profonda, ma non avendo leso organi vitali, non avrebbe messo in pericolo la vita del gran sacerdote. Lo affidò a Madau, che lo fece trasportare con grande cura, nei suoi alloggi. Nell’accommiatarlo il re gli disse che l’indomani, si sarebbe riunito il Gran Consiglio degli Anziani per delle decisioni importanti. Itzoccar licenziò anche il comandante delle sue guardie. Gli disse di fare distribuire la carne arrostita per la festa, al popolo, prima che si disperdesse; e di rasserenare gli animi di tutti; domani avrebbe comunicato al popolo riunito le sue decisioni, dopo la riunione del Consiglio degli Anziani. Poi pregò Rumisu di predisporre dei turni di guardia più solerti che mai e augurò la buonanotte a sua figlia Aristea che commossa gli sussurrò che era pronta a sposare Arca Salmàn. Itzoccar fu lieto di questa notizia. Se non altro il suo rientro non era andato storto del tutto.

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sabato 13 novembre 2021

Il commissario e l'avvocato - 10

 


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«Che tipi sono questi due nipoti di Carbonia?» disse invece.

«Il mio assistito, mi ha detto che la cugina Maria Grazia Picciau è una tranquillona. Ha vinto il suo bel concorso pubblico e lavora come impiegata comunale in un paese distante una ventina chilometri da Carbonia. Andrea Picciau, suo fratello, che è più grande del mio assistito di parecchi anni, ha avuto invece un passato da tossicodipendente, ma adesso si è rimesso in carreggiata. È ospite di una comunità di recupero dove ha imparato a lavorare la terra e a guadagnarsi il pane con il sudore della fronte. E non mi ha saputo dire se conoscano o meno l’esistenza del testamento. Anche se la vittima non aveva mai fatto mistero di detestare intensamente le abitudini insane del nipote Andrea. E comunque nel parentado era nota la predilezione della signora Emma nei confronti di Alessandro, il mio assistito.»

«Chissà dove teneva la chiave di quella cassaforte, la povera signora Pirastu…» disse il commissario, quasi tra sé e sé.

«Il mio assistito mi ha detto che la teneva nel primo cassetto del comò, in camera da letto, tra la biancheria intima.»

«È uno dei primi posti dove ho cercato, ma non sono riuscito a trovarla, né lì né altrove. Ma mi sa tanto che la settimana prossima ci torno e cerco meglio» disse ancora il commissario sempre con quel tono distante, come se parlasse per conto suo.

«Se vuoi ci torniamo insieme. E l’apriamo con la chiave di Alessandro. Dammi soltanto il tempo di chiedergli di portamela in studio al più presto possibile.»

«Davvero ne ha una copia il tuo assistito? Caspita, questa sì che è una buona notizia! Mi evita un sacco di rogne di autorizzazioni per chiamare un fabbro e per fare scardinare la cassaforte!»

«Il mio assistito godeva della massima fiducia da parte della zia, al punto che la donna ultimamente aveva provveduto a fargli una delega sul conto corrente bancario dove le accreditavano la pensione e, spesso, lo incaricava di fare dei prelievi, per suo conto, direttamente in banca oppure con la carta del bancomat.»

Intanto, mentre parlavano, avevano lasciato la strada statale e si erano immessi in quella provinciale per San Gavino. Da lì, arrivati a Guspini, non sarebbero stati distanti da Gennas Serapis, altrimenti nota come Montevecchio, l’antico borgo minerario, dove c’era una parte significativa delle radici più recenti di Santiago De Candia.

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giovedì 11 novembre 2021

Il commissario e l'avvocato - 8


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Il commissario sorrise, pensando che questa battuta sarebbe piaciuta molto a uno dei suoi collaboratori, che non perdeva occasione per criticare l’ossessione mediatica e la superficialità di certi settori della polizia giudiziaria.

«Che tipo è questo nipote?» chiese invece all’avvocato.

«Mah! In questo frangente non saprei davvero definirlo bene. È molto spaventato, oltre che dispiaciuto per il brutale assassino di una persona alla quale era sinceramente legato, che gli voleva bene e che perfino lo sovvenzionava generosamente, in cambio dell’aiuto disinteressato che lui le prestava con entusiasmo e con sincero affetto.»

L’avvocato fece una breve pausa, ma si intuiva chiaramente il suo desiderio di  continuare a parlare, quantunque non sapesse bene cosa dire.

«Posso dirti una cosa strettamente riservata!»

Il commissario si sentì prudere il naso. Questo succedeva quando nell’aria c’era una notizia su cui esercitare la massima dell’attenzione. O perché era in vista un inganno, oppure perché stava per venire a conoscenza di qualcosa di importante. Era il suo naso da sbirro a suggerirglielo e il suo naso difficilmente sbagliava.

«Certo, parla liberamente!» la incoraggiò il commissario, continuando a guidare.

«Io te la dico, ma devi promettermi che non la userai mai contro il mio assistito, qualunque cosa accada!» ribadì ancora l’avvocato Levi.

Anche lei aveva un alto senso del segreto professionale e forse, in fondo si era già pentita di avere fatto l’offerta. Ma ormai sembrava tardi per tornare indietro.

Il commissario restò interdetto, tra dubbi e curiosità! L’informazione riservata lo incuriosiva, e poi poteva essere utile per le sue indagini. Come privarsene? D’altro canto, però, non sarebbe mai venuto meno ai suoi doveri di sbirro, su questo non aveva dubbi. Credeva nel suo lavoro sino in fondo e non lo avrebbe mai disatteso. Risolse pensando che quell’avvocato, quel diavolo in gonnella, non gli avrebbe mai rivelato un segreto che potesse danneggiare il suo assistito, che oltretutto, a parere suo, nonostante le osservazioni capziose dell’ispettore Zuddas, era completamente innocente.  Decise di fidarsi e dopo essersi passato una mano sul naso che gli prudeva rispose di sì, che non avrebbe mai usato quella confidenza contro il suo assistito.

«Promessa di sbirro?» ribadì ancora l’avvocato, a metà tra il serio e il faceto, sapendo bene come il commissario fosse fiero e orgoglioso di essere un poliziotto con una parola ferma e fidata.

«Parola di sbirro!» le confermò porgendole l’indice della mano destra per sigillare la promessa.

L’avvocato strinse forte l’indice con il suo.

«Il mio assistito mi ha confidato che la zia lo aveva nominato erede universale con un testamento!» aggiunse subito.

continua... 

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martedì 9 novembre 2021

I Thirsenoisin - 7

 


Elki in persona diede    gli opportuni accorgimenti  per il sacrificio dei  capretti e dei cinghiali, le cui carni  sarebbero state offerte al popolo riunito, dopo la cerimonia della restituzione delle insegne, per festeggiare il rientro del sovrano nella sua reggia.

Itzoccar e il suo seguito osservarono da lontano il fumo dei fuochi che arrostivano le carni; la loro visione fu confermata dal profumo che sentirono quando imboccarono il viale di accesso settentrionale al villaggio. Quelli che ancora non si erano recati al recinto delle feste, colti di sorpresa dal rientro del re, o forse nell’atto di recarvisi,  si erano fermati  ai bordi della strada e ossequiavano il loro sovrano e il suo seguito, chi togliendosi il copricapo, chi levando in alto le mani in segno di saluto; i bambini e le donne lo acclamavano per nome. Itzoccar fu felice di quei saluti. Rispose levando il braccio destro, con solennità e rispetto. Tutti si accodarono alle guardie per fare l’ingresso trionfale nel villaggio.

In fondo al  piazzale Irisha, Elki, Aristea, Rumisu, Damasu e gli altri dignitari rimasti in sede erano già schierati per accogliere il loro sovrano. Elki, in piedi alla destra di Itzoccar,  zittì la folla che festante acclamava l’amato re, con un gesto imperioso della mano destra. Il cerimoniale, seppure non codificato per iscritto, era tenuto in grande considerazione dal popolo dei Nuraghi e spettava al gran sacerdote dare il benvenuto al re, invitando nel contempo il delegato, a riconsegnare le insegne del comando al titolare legittimo.

Il mantello doveva essere consegnato al gran sacerdote, con la mano destra; spettava a lui allacciarlo, per mezzo dei cordoncini di cuoio, al collo del sovrano; Elki, a quel punto, avrebbe dovuto fare un passo indietro; invece restò fermo e guardingo.  Damasu non si avvide di questa variazione nel cerimoniale; forse era troppo giovane per capire; oppure era troppo nervoso, con la mente fissa a quel gesto decisivo che avrebbe cambiato in meglio la sua vita e quella del suo popolo.   Il bastone, sempre con la destra, andava consegnato direttamente al re, mentre il cinturone con il pugnale, posto a tracolla, andava restituito con la mano sinistra. Così fece Damasu; ma mentre riconsegnava il cinturone con la mano sinistra, con la destra  estrasse il pugnale dalla sua custodia; fu un gesto repentino; solo un attimo si vide la lama brillare e fendere l’aria per calare sul cuore del ricevente. Elki, che era rimasto all’erta, a un  passo dal re, si interpose con un balzo deciso tra i due; la sua figura, alta quasi una spanna in più, intercettò il fendente, all’altezza della scapola sinistra. Un urlo di orrore si levò dalla folla.

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lunedì 8 novembre 2021

Il commissario e l'avvocato - 6

 

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L’avvocato sembrò colpita da quelle parole. Al commissario parve quasi che arrossisse.

«Sai che mi sono trasferita qui, in via Giudice Torbeno?» disse indicando una qualche direzione davanti a lei. «Non lo sapevi?»

«Ma di casa o lo studio?» chiese il commissario.

«Tutti e due insieme! È una casa grande che ho fatto ristrutturare. Avevo vissuto lì da ragazza. Gli inquilini sono andati via e ne ho approfittato per unire casa e lavoro, così da non dover fare la spola tra casa e ufficio.»

«Certo, certo, hai fatto bene. Ma non stiamo qui, abbiamo tanto cose da dirci. Non c’è un bar qua vicino?»

«Senti adesso ho da fare. Mio figlio parte in gita scolastica e se non metto mano io alla sua valigia, finirà per dover partire senza bagaglio. Perché non ci vediamo stasera, o magari domani?»

Santiago De Candia si ricordava bene di Stefano, il figlio di Luisa, anche se non lo aveva mai visto. Quando lui e la donna si erano conosciuti, un anno prima, il ragazzo era  poco più che  quattordicenne e frequentava il liceo classico Dettori, la stessa scuola che lui aveva frequentato tanti anni prima. Luisa gli aveva raccontato che  il  ragazzo la  riteneva responsabile della separazione dal padre, avvenuta quando lui aveva iniziato appena a frequentare le scuole elementari. Il contrasto del ragazzo nei confronti della madre era forte.  Luisa gli aveva spiegato che suo figlio, a causa del suo carattere introverso e problematico,  non avrebbe mai accettato neppure di sapere che a fianco della madre ci fosse  un altro uomo, figuriamoci poi  conoscerlo e frequentarlo! De Candia, rimasto vedovo senza figli, in cuor suo si era perfino mostrato contento e disponibile  a far da padre al ragazzo, che  probabilmente, secondo il commissario,  era semplicemente un adolescente alla ricerca di se stesso, come tutti quelli della sua età! Con l’aggravante di un carattere ipersensibile e introverso.

Dopo una breve pausa, l’uomo guardò la donna negli occhi.

«Ti piacerebbe fare una gita domani?».

«Una gita? Che tipo di gita?».

«Ho programmato di recarmi  al parco Geominerario di Montevecchio» aggiunse speranzoso il commissario.

«Al Parco Geominerario? E come mai?» chiese l’avvocato, con quel suo fare guardingo, che usava forse per guadagnare tempo.

«Non ti ho mai detto che le mie radici, almeno in parte, sono proprio in quella zona?»

«No, questo mi mancava. Allora accetto! A patto che mi racconti bene questa storia delle radici!» disse con quel suo sorriso affascinante che a lui era piaciuto sin dalla prima volta che l’aveva conosciuta.

«Contaci. Dimmi il numero civico che passo a prenderti! Alle nove e mezza è troppo presto per una domenica?»

«No, va benissimo. Suona il campanello dell’abitazione che sta allo stesso numero civico dello studio» disse porgendogli un bigliettino.

«Grazie. A domani» confermò il commissario mettendolo in tasca.

«A domani, allora.»

«Ah! Volevo dirti che quando ci siamo incontrati venivo da un sopralluogo che ho fatto in via Giudicessa Adelasia» aggiunse subito il commissario prima di accommiatarsi.

«Non mi dire che la Procura ti ha fatto la delega per le indagini?» disse l’avvocato illuminandosi in viso.

«Sì, proprio così! Ancora una volta saremo su fronti contrapposti!» annuì l’uomo.

«Tu credi?» proruppe l’avvocato con grinta. «Guarda che invece potrei affiancare proprio la Procura in Corte d’Assise come parte civile! Il mio assistito è parte lesa in questa storia!»

Questa donna è un avvocato nel fondo dell’anima, pensò il commissario con ammirazione.

«Lo dici per non farmi chiudere nel segreto professionale!» disse invece un po’ per scherzo e un po’ perché lo sbirro che c’era in lui lo portava a sospettare anche quando si trovava davanti una persona che stimava. E ancor più se per questa persona provava qualcosa in più di una pur sincera stima.

«No, affatto!» disse lei ammorbidendo i toni. «E te lo dimostrerò domani stesso!»

«Va bene! A domani alle nove e mezza!»

Guardandola allontanarsi a Santiago venne in mente una frase che suo padre ripeteva spesso. «Ringraziamo il Padreterno per aver creato le donne. Guai se non ci fossero. Ma visto che c’era, perché non le ha fatte meno complicate?»

Il suo vecchio, veramente, al posto di complicate usava un’altra e più colorita espressione. Ma non gli andava di riferirla a quella donna che aveva casualmente ritrovato. E si rese conto che non aveva pensieri così piacevoli da tanto tempo.

E la notte, il sonno, giunse più lieto e più soave che mai.

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domenica 7 novembre 2021

I Thirsenoisin - 5

 


E Mandis con la sua maturità e la sua istintiva intelligenza,  aveva capito che la realtà dei fatti soppiantava le leggi e la volontà politica dei capi e che niente poteva più fermare il nuovo corso della vita, che era quello di aprirsi al mondo nuovo, verso il mare, verso quelle genti che conoscevano il mondo esteriore e che portavano conoscenze e ricchezze al loro mondo, fermo,  immobile nella percezione della realtà, come se la vita fosse divenuta immutabile e perpetua nella sua quotidianità,  nella ripetizione degli stessi gesti, nell’osservanza di vecchi rituali, sempre uguali, reiterati nel tempo. Questa presa di coscienza aveva acuito, anziché spengerla, la sua sete di vendetta, perché vedeva in quel nuovo mondo la possibilità di mettere in discussione e magari di abbattere l’ordine costituito che lo aveva emarginato, dopo averlo sconfitto e umiliato. Quelle genti del mare sarebbero stato lo strumento perfetto della sua rivincita contro quel mondo per cui provava soltanto odio e avversione. I commercianti Shardana, dal loro canto, lo consideravano un valido alleato. Non è da escludere che addirittura lo considerassero una sorta di grimaldello con il quale scardinare quel mondo ostile costituito dal mondo nuragico, chiuso e ostile da subito a ogni proposta di cambiamento. Lo avevano perciò agevolato, non solo per convenienza economica e commerciale, ma anche per uno spiccato intuito di convenienza politica.

Grazie ai lauti guadagni che il commercio gli aveva procurato e in virtù delle conoscenze ormai consolidate con i ricchi commercianti Shardana si era fatto costruire una grande casa in mattoni e malta  a due piani, sul modello di quelle che i ricchi karalitani e noresi abitavano nelle loro città.

Fu lì che andò a trovarlo Damasu.

« Salute al futuro re di Kolossoi!» lo salutò con deferenza Mandis vedendoselo davanti.

«Il mio messo ti ha avvisato del mio arrivo?» gli chiese Damasu sentendosi lusingato e gratificato da quel solenne saluto.

«Sì, certo! Ti aspettavo. Tutto bene in viaggio?»

«Sì, sì, nessun problema.» rispose Damasu. «Vedo che ti sei sistemato davvero bene - »aggiunse il giovane principe guardandosi attorno.

«Queste si chiamano case. A Karalis e a Nora  ogni mercante ne ha una simile ma i principi come te vivono nelle regge dove scorre persino l’acqua! Ma lascia che ti racconti ogni cosa per bene» - disse ancora il mercante.

Intanto i servi di Damasu avevano smesso di scaricare i muli con i doni che Damasu aveva portato al suo vecchio conoscente. Mandis li mandò in cucina a farsi rifocillare e ordinò che fosse preparato un bagno caldo per il suo ospite; poi diede le disposizioni per il pranzo.

A tavola, dopo un pasto abbondante,  si intrattenne con   il giovane principe.

«Ti senti a tuo agio in quelle vesti?» chiese accennando, con un sorriso,  agli abiti che aveva offerto da indossare al suo ospite.

«Se mi vedessero al villaggio non mi riconoscerebbero!» esclamò Damasu sollevando le braccia che si perdevano nelle ampie maniche del suo vestito.

«Sono vestiti di seta che mi hanno portato da Nora. Pare che arrivino dalla Persia! Lì le indossano i principi, quindi nessuno dovrebbe avere da ridire vendendole addosso!»

«Tu sai bene come vengano giudicate certe mollezze nella dura Kolossoi!» esclamò Damasu, a metà tra il serio e il faceto.

«A proposito!» chiese Mandis. «Cosa si dice al villaggio?»

«Solite cose! Itzoccar partirà presto per il raduno settennale dei capitribù di Gisserri! E mia sorella piange per amore!»

«Che significa?» chiese premuroso Mandis.

«Significa che mio padre le ha imposto il matrimonio con Arca Salmàan, il figlio di Hannibaàl, chiudendole ogni altra possibilità!»

«È un vero peccato! Te li immagini i vantaggi che  al tuo villaggio potrebbero derivare  dall’unione tra tua sorella e un giovane principe Shardana!?»

«Adesso sono io che non capisco, nobile Mandis!» interloquì Damasu,  che non aveva veramente afferrato il senso di quel riferimento, che pur  gli era parso comunque interessante!

Mandis gli si avvicinò e assunse un atteggiamento profetico e un tono più accattivante.

« Il tuo villaggio dovrebbe allearsi con una delle città Shardana; Nora per esempio! Io conosco un principe, Usala, che farebbe carte false per sposare una principessa nuragica. Ho avuto conferma da numerosi mercanti di quanto sia influente la sua famiglia non solo a Nora ma in tutte le città stato Shardana!»

«Nostro padre la pensa in tutt’altra maniera. E intende rafforzare i legami con le altre tribù proprio in funzione anti Shardana!»

«Vorrei che tu venissi con me a Nora. Lì ti farei conoscere la vita, quella vera!»

«Un’altra volta lo farò ben volentieri!» rispose con convinzione il giovane principe.

 « Così avrai conferma di quel che ti ho detto più volte: il mondo sta cambiando. È nei viaggi, oltre il mare, il nostro futuro e la nostra ricchezza. Non possiamo continuare a vivere di ricordi Ti fermerai almeno per darmi il tempo di organizzarti una festa con certe danzatrici  che i Shardana utilizzano anche per fare certi massaggi…»

«Purtroppo devo rientrare al villaggio subito. Mio padre mi passerà le consegne prima di partire per Giserri e io devo essere presente davanti al popolo schierato. Sai com’è…»

Una punta di nostalgia travolse Mandis all’improvviso,  al pensiero del suo villaggio, coi guerrieri e gli anziani schierati per il cerimoniale. Ma fu soltanto un attimo.

«La prossima volta mi devi promettere che starai più a lungo!» - esclamò riprendendo il filo del suo discorso.

«Certamente. In realtà oggi sono venuto soltanto per un consiglio. L’ho promesso a mia sorella!»

«Dimmi pure, o principe! Se posso esserti utile, ne sarò ben felice!» disse Mandis incoraggiandolo. Presentiva col  suo sesto senso che quella era l’occasione che aspettava da tempo.

«In base alle leggi di Kolossoi, che tu conosci bene, cosa può consentire di revocare la promessa di matrimonio  che Itzoccar ha fatto in favore del padre  di Arca Salmàn?»

«Se fossimo in tempo di carestia, ti direi che dovresti portare il tuo vecchio padre a Monti Muradu e lasciarlo lì, per sempre! Ma siccome siamo in tempo di abbondanza ti dirò comunque che queste promesse, per antica tradizione, hanno un carattere personale e non impegnano  né il regno, né il popolo. Un nuovo re potrebbe anche non rinnovare la promessa, senza infrangere alcuna legge.»

A Damasu brillarono gli occhi. Già si immaginava  sul trono di Kolossoi.

«Vuoi dire che…» accennò Damasu guardandosi in giro.

continua...

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