last moon

sabato 30 marzo 2019

Muri ideologici e muri di pietra


Anche se i muri in realtà sono vecchi quasi quanto l'uomo, oggi più che mai, viviamo nell'epoca dei muri!
Chi l'avrebbe mai detto che dopo la caduta di quell'orribile muro a Berlino, saremmo entrati nell'epoca dei muri. Eppure ci siamo! Eccome!
Esiste  il muro di pietra che divide Israele  dalla Palestina; ed esiste il muro ideologico che divide le due Coree.
Trump vuole fare il muro di pietra tra gli Stati Uniti e il Messico; e Theresa May ha perso la ragione intestardendosi a voler costruire il muro ideologico tra il Regno Unito e il resto d'Europa, appoggiata dai ricchi e, più o meno, nobili ex studenti di Eton e dintorni, facendo leva sullo sconsiderato razzismo e sulle illusioni di grandezza emersi da un referendum pilotato con sapienza dalla rete (come la stessa elezione di Trump: leggi Cambridge Analitica) e che si poggia più sull'ignoranza oscura che sulla lucida volontà.
Viviamo il crepuscolo della democrazia rappresentativa in un periodo di oscurantismo ideologico e religioso che può definire la nostra epoca come un nuovo medio evo.
E' per questo che dobbiamo credere più che mai negli Stati Uniti d'Europa.
L'Unione Europea incarna la negazione dei muri e dei confini. In un momento in cui tutti si chiudono, almeno l'Europa resti aperta! 

lunedì 25 marzo 2019

Memorie di scuola - parte terza



Capitolo quattordicesimo
L’Autonomia scolastica
Anno scolastico 2000-2001

Alcuni vecchi docenti come me, che hanno insegnato a lungo,  a cavallo dei due secoli ventesimo e ventunesimo, sogliono distinguere il prima e il dopo rispetto alla introduzione dell’autonomia scolastica.
A distanza di oltre venti anni dalla sua introduzione  (l’autonomia scolastica è in realtà entrata in vigore formalmente il 1 settembre del 2000, ma in precedenza c’era stato un biennio di sperimentazione) io ancora non riesco a spiegarmi il senso di questa riforma che il centro sinistra (col ministro  Luigi Berlinguer) ha voluto calare dall’alto, nonostante le opposizioni nette dei sindacati e dei docenti.
A me questa riforma dell’autonomia scolastica (ripresa con esiti ancor più disastrosi da Renzi con la legge 107 del 2015) ha dato sempre l’impressione di quel  matrimonio, preannunciato con squilli di tromba e grande enfasi, per poi essere festeggiato però con i fichi secchi.
Si iniziò con la  legge n. 59/1997, (riforma Bassanini), che all’art.  art.21 pose la prima pietra dell’autonomia scolastica conferendo al Governo il potere di riorganizzare il “Servizio istruzione” mediante il potenziamento dell’autonomia intestata alle istituzioni scolastiche ed educative.
Venne poi  realizzata dal DPR 275/1999, che la sbandierava  come “garanzia di pluralismo culturale che si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti” (...)
Al tutto venne infine conferito persino  rango costituzionale (sempre da questa incomprensibile sinistra revisionista) con la Legge 3/2001 del 18 ottobre che ha  modificato  l'art. 117 del titolo V, della parte seconda della Costituzione.
Per chi ha vissuto la riforma dall’interno, come docente,  il tutto è risultato essere una grande operazione propagandistica, fatta da ministri affetti da megalomania che forse sognavano di iscrivere il loro nome nella storia della scuola (paradossalmente, nel secolo scorso, ci è riuscito soltanto il ministro Giovanni Gentile, cioè un ministro dell’epoca fascista).
In pillole, la  riforma ha attribuito a ogni scuola una personalità giuridica, ha cambiato il nome del preside in Dirigente Scolastico, ha introdotto per ogni scuola l’obbligo di differenziare l’offerta formativa con l’adozione di un POF (piano dell’offerta formativa).
A ben vedere la riforma è stato un cambio di facciata, un’operazione malfatta di maquillage che ha aumentato soltanto il disorientamento dei docenti e la confusione nell’organizzazione.
Del resto basta leggere la cronaca per capire che cosa sia diventata la scuola.
Al di là delle formule burocratiche e pompose, quali quella tesa a “migliorare il processo di insegnamento e di apprendimento” o quella che avrebbe per fine “  di garantire ai soggetti coinvolti il successo formativo, mediante l'impiego delle indispensabili risorse umane, finanziarie e strutturali” e “l’ambizione di di realizzare l’integrazione e il miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, anche attraverso l’introduzione e la diffusione di tecnologie innovative”, l’autonomia scolastica è un vero e proprio sacco vuoto.
E leggiamola questa cronaca, per capire quanto poco abbia funzionato questa strombazzata riforma scolastica.
Punto primo: gli edifici scolastici stanno cadendo a pezzi.
La riforma avrebbe dovuto cominciare invece da lì. Si sarebbe dovuto innanzitutto provvedere a mutare radicalmente la stessa architettura scolastica, rinnovando la concezione architettonica della scuola, prevedendo in ogni edificio scolastico una mensa, un teatro, una palestra, degli spazi appositi per i laboratori informatici.
Quella sì che sarebbe una vera rivoluzione. Prima di sbandierare riforme megagalattiche a nessuno di questi soloni della sinistra revisionista (non parliamo, per carità di patria, dei ministri della destra, con Moratti e Gelmini in testa, che alla scuola pubblica hanno suonato il de profundis, per rilanciare le scuole private dei loro sodali e per punire i docenti, colpevoli di essere, ai loro occhi e dei colleghi ministricchi, della serie Brunetta e Tremonti, per intenderci,  dei marxisti leninisti, affetti da fannullismo cronico, terroristi mancati e figli spuri della rivoluzione del sessantotto), è venuto in mente di rinnovare la scuola partendo dagli edifici destinati a ospitare le classi e i docenti?
A che cosa sono serviti queste riforme se gli edifici scolastici son rimasti gli stessi di cinquant’anni fa? Ma davvero si può pensare di fare una riforma così ambiziosa senza prevedere una ricostruzione e un ripensamento degli spazi a disposizione di studenti e docenti per svolgere la vita scolastica? Ma qualcuno di questi riformatori mancati è mai stato all’estero, almeno per capire come va concepito una spazio scolastico decente?
Io ho avuto l’impressione che tutti i ministri che si sono succeduti nel secondo dopoguerra, non abbiano capito niente della scuola (soprattutto quelli dalla Falcucci in poi).
Non c’è bisogno di scomodare Keynes per capire che un piano di ricostruzione di tutti gli edifici scolastici avrebbe costituito un volano economico e culturale davvero rivoluzionario.
Invece i nostri ministricchi sentenziavano che con la cultura non si mangia e hanno continuato, inesorabilmente, a tagliare le risorse scolastiche.
Punto secondo: è mancato totalmente il rilancio della figura del docente.
 Trattando i docenti da fannulloni, riducendo i loro stipendi a salari di sopravvivenza i nostri ministricchi non hanno fatto altro che screditare i docenti agli occhi di un’opinione pubblica sempre più arrabbiata e sempre più confusa e impreparata (che altro aspettarsi, d’altronde, se i nostri ministri e parlamentari, per primi, hanno messo la scuola all’ultimo posto dei loro pensieri?).
Risultato di questa politica di screditamento: gli studenti hanno cominciato a vedere i loro docenti come degli sfigati, senza arte né parte, bistrattati, malpagati e tecnologicamente arretrati; i familiari sono arrivati persino ad allungare le mani su di loro (e non è mancato neppure qualche studente che lo ha fatto, postando poi su Internet la malefatta).
Ma come si è potuto pensare a una riforma che non prevedesse il rilancio della figura più importante della scuola?
Terzo punto: si è tanto discettato di autonomia ma i programmi sono rimasti quelli di mezzo secolo fa, appannaggio esclusivo dei ministri e dei loro apparati. E qui la domanda sorge spontanea: ma allora di quale autonomia si è parlato in questo ventennio?
Risposta semplice e ovvia: dell’autonomia relativa ai programmi aggiuntivi, quelli extracurricolari, da svolgersi nel pomeriggio.
Peccato che nessuno abbia previsto che questi programmi aggiuntivi, tesi magari lodevolmente a colmare le lacune manifestate dai discenti durante l’anno scolastico, andassero svolti al pomeriggio che quindi gli edifici scolastici abbisognassero di una mensa scolastica, una cucina , dei luoghi di ritrovo per studenti e docenti.
 E qui mi fermo. Non senza aver posto un’ ultima  domanda: ma si può azzardare di pensare di costruire una scuola di livello europeo, lasciando gli stipendi dei docenti a un livello tra i più bassi d’Europa?




 Leggi il  testo integrale di Memorie di scuola di Ignazio Salvatore Basile,  acquistando on line(c/o Mondadori store, Feltrinelli, IBS, Libreria Universitaria, Amazon ecc.) oppure in libreria il volume edito da Youcanprint ISBN 9788827845486. Il romanzo è disponibile anche in formato e-book nel sito della casa tramite il link sottostante.












domenica 24 marzo 2019

Indiani e Cow-boys


Il teatrino della politica,  al quale stiamo assistendo  anche in questi giorni,  in materia di immigrazione , mi ricorda, in una certa misura, le rappresentazioni che facevano certi film degli anni sessanta della lotta che vedeva opposti i buoni e prodi americani ai selvaggi e cattivi Indiani d’America, ben prima che questi venissero rivalutati da un cinema più attento e intelligente, sulle ali dei grossi sensi di colpa che hanno fatto emergere le loro ragioni, al di là delle apparenze.
Ebbene, in questi film dozzinali della mia infanzia, gli Indiani venivano rappresentati come dei selvaggi idolatri, aggressivi, sporchi e inaffidabili, mentre gli americani erano “i nostri”, i giusti, quelli che intervenivano al momento giusto per rimettere le cose a posto.
Era facile per noi bambini identificarci e solidarizzare con i cow-boys e con i soldati americani e, di conseguenza, schierarci contro gli Indiani.
Cosa non può distorcere, la rappresentazione di una verità voluta, ancorché fallace e fuorviante, nella mente semplice di un ingenuo ragazzo!?
Che cosa c’era che non andava in quelle rappresentazioni filmate hollywoodiane?
E’ molto agevole rispondere: esse ricreavano una situazione, immediata e contingente, in cui era facile leggere da che parte stesse il torto e da quale la ragione.
Era sufficiente, a titolo d’esempio, mostrare degli Indiani ululanti e rabbiosi, in assetto di guerra, incendiare un forte, assalire dei coloni, rapire o peggio uccidere con selvaggia ferocia delle donne e dei bambini inermi,  per scatenare nello spettatore ingenuo e impreparato (ma quale bambino non lo è?) lo sdegno e il desiderio di un intervento riparatore.
Lo stesso accade, se ci badate, nell’odierno teatrino della politica, in materia di immigrazione, anche se la rappresentazione è assai più sfumata e complessa.
Lo schema di base, tuttavia, è identico: nella rappresentazione di una certa parte politica, ci vogliono mostrare da un lato  gli invasori, i cattivoni, i selvaggi; dall’altro ci sono “i nostri”, i salvatori, i giusti.
I politici di parte avversa, nella loro rappresentazione, utilizzano lo stesso schema: da un lato ci mostrano i cattivoni libici, quelli dei campi di concentramento che si accaniscono contro gli inermi migranti; dall’altro ci solo loro, i rescuers, i nuovi salvatori della patria, le ONG filantrope che salvano gli inermi dalle grinfie del mare malvagio.
Entrambe le rappresentazioni sono fallaci e ingannevoli, anche se possono contenere, se non altro,  qualche verità contingente.
Il loro inganno, la loro fallacità sta nella parzialità della rappresentazione; rappresentano cioè soltanto un segmento di verità, estrapolato dal complesso del problema, dalle radici, dalla realtà più complessa e complessiva.
A seconda del suo orientamento politico, l’ingenuo spettatore non può non schierarsi con i buoni di turno.
Così è automatico per uno di sinistra, schierarsi con le ONG contro gli aguzzini del mare e i trafficanti di uomini; e per uno di destra non ci sono dubbi che occorra impedire agli invasori neri (pakistani invaders li chiamava qualcuno a Londra,  tempo fa) di insediarsi in Italia, con le loro credenze esotiche e le loro consuetudini antieuropee e anticristiane.
Ma nelle rappresentazioni semplicistiche, parziali e superficiali, alle quali non è estranea certamente un’informazione televisiva sbrigativa e sommaria, non emergono gli esatti e netti contorni della realtà.
Per esempio: ma chi ha portato questi disperati in Libia? E perché? Se l’Italia e l’Europa hanno bisogno di manodopera e di operai per le loro campagne e per le loro industrie, non ci sono altre vie per fare arrivare soltanto quelli di cui si ha veramente bisogno e le loro famiglie ? (E che ce ne sia bisogno, non c’è dubbio; la stessa destra di Berlusconi e Bossi, fece anni fa un condono per 600.000 clandestini già inseriti come operai nelle industrie del Nord, su pressione dei loro sodali di Confindustria).
E ancora: queste ONG, cosa ci guadagnano a pattugliare il mare in cerca di naufraghi da salvare? Chi sono? Chi paga la loro organizzazione? E perchè? Abbiamo il diritto di sapere da chi vengono finanziate?
Ma davvero dobbiamo prendercela con questi poveri disgraziati e non, invece, con i governanti dei diversi stati del mondo (in primis quelli italiani) per questa situazione?
E poi mi piacerebbe chiedere: dove sono le ricchezze prodotte dalle risorse naturali dell’Africa? Dove sono i profitti delle industrie delocalizzate dall’Europa e insediate in Africa e in Asia?
E i profitti della globalizzazione che se li sta incamerando?
E infine (ma solo per paura di tirarla troppo alle lunghe): ma il nostro dovere di salvare le vite umane, si limita a quei disperati che hanno la forza e i soldi per incamminarsi e imbarcarsi verso le nostre coste? E gli altri? Quelli che rimangono a morire di stenti e di guerra in Africa? Quelli non contano?
Nessuno vuole capire  che gli immigrati che approdano nelle nostre coste sono soltanto la punta di un iceberg?
Insomma, fermo restando il dovere di salvare le vite umane, siano esse in mare, siano esse inchiodate in Africa o in Asia, o dovunque si soffra e si muoia a causa di guerre e carestie, io mi rifiuto di parteggiare per gli Indiani o per i Cow-boys e pretendo una visione più ampia e completa del problema.
E’ troppo chiedere ai nostri politici e ai mezzi di informazione che essi controllano di fare chiarezza?

venerdì 22 marzo 2019

Memorie di scuola - Parte terza



Capitolo quinto
Faccia la persona seria
a.s. 1991-1992
Riflettevo ancora in quei primi anni di insegnamento a quanto fosse vero ciò che mi aveva detto un medico che avevo conosciuto al Comitato di Gestione della  USL di Sanluri, dalla cui assemblea (formata dai rappresentanti di oltre 35 Comuni della Marmilla e dintorni) ero stato indicato per gestire quel particolare settore pubblico, vero e proprio crocevia amministrativo,  dove le tentazioni della politica toccano il proprio apice.
Basti pensare che la Sanità assorbe una fetta del PIL nazionale assai consistente. Una torta davvero appetitosa per politici rampanti e voraci, come sono, da sempre,  i politici italiani. Chi non ricorda Sua Sanità Francesco de Lorenzo, ministro della Sanità, vicerè di Napoli e dintorni, detronizzato da 145 capi di imputazione dal pool di Mani Pulite, insieme al suo braccio destro Poggiolini, cui vennero sequestrati migliaia di miliardi (di cui parecchie centinaia fungevano da imbottitura dei suoi divani e delle sue poltrone) di mazzette incassate quando dirigeva il servizio farmaceutico proprio al ministero della Sanità di De Lorenzo?
E’ inoltre notizia di questi giorni (segno che 25 anni, da quando il mariuolo socialista dell’albergo milanese del Pio Albergo Trivulzio venne acchiappato con le mani nella marmellata, dando la stura a quella terribile stagione che va sotto il nome di “Mani Pulite”,  sembrano non essere mai passati),  la condanna definitiva subita da Formigoni, presidente della Giunta Regionale della Lombardia per oltre un decennio, che sulla Sanità ha perso l’onore e il senno: mazzette milionarie (questa volta in Euro), viaggi, regalie, alberghi di lusso e fiumi di danaro, tutti provenienti dalla Sanità lombarda.
Insomma, dicevo, io ero finito in questa specie di regno di cuccagna (seppure periferico e provinciale rispetto alle più ricche USL delle città capoluogo sarde). Era mia profonda convinzione (e lo è tuttora) che io, nella mia veste di consigliere comunale del paese natio, dovessi rappresentare, con spirito di servizio, in scienza e coscienza, come si suole dire, le istanze della gente comune che mi trovavo a rappresentare.
Capii però da subito che i miei colleghi del Comitato di Gestione non erano animati dalla mia stessa vocazione e dal mio medesimo spirito di servizio.
Naturalmente non ebbi mai prove delle malefatte che i miei colleghi del Comitato Gestione probabilmente fecero a mia insaputa. Io posso dire a mia discolpa che non ero soltanto ingenuo e onesto, ma che credevo davvero nella riforma sanitaria e mi consideravo lì per lavorare al fine di realizzare gli obiettivi della riforma del 1978: una migliore sanità per tutti i cittadini, i malati e gli utenti. Ebbi però sentore che qualcosa accadeva dietro le quinte. Ad esempio, se piombavo all’improvviso nel bel mezzo di una riunione informale, mi accorgevo che i miei colleghi cambiavano repentinamente argomento e leggevo l’imbarazzo nel loro viso. Di lì a poco il ciclone di Mani Pulite li avrebbe spazzati tutti via, insieme alla Prima Repubblica, anche se sinceramente non saprei dire se la Seconda Repubblica sia stata meglio della Prima.
Insomma, io , un po’ vigliaccamente, dopo tre anni di gestione della sanità marmillese,  diedi le dimissioni, forse memore di quanto mi aveva consigliato il relatore alla mia tesi, il compianto internazionalista, prof. Pau di Oristano , quando, poco prima di laurearmi, nel 1984, gli avevo detto che mi sarei candidato alle comunali del mio paese, dandomi, per così dire, alla politica: “ Basile, faccia la persona seria!”, fu per l’appunto il suo asciutto commento.
Dopo essere stato eletto, e dopo aver vissuto l’esperienza di consigliere comunale (all’opposizione) e di membro del Comitato di Gestione (in maggioranza) capii il senso profondo di quelle sagge parole. E ogni tanto, quando assisto al teatrino della politica in TV o sui giornali, ripenso a quel mio vecchio e saggio professore.
Questo medico della USL di Sanluri, vice coordinatore sanitario, mi disse che la migliore età per un uomo è quella che va dai trent’anni ai quarant’anni, quando un uomo è ancora nel pieno vigore fisico e può viverlo nella piena maturazione intellettuale.
E infatti così mi sentivo in quel frangente della mia vita. E in quel settennio che mi separava dal compimento del quarantesimo compleanno, dopo che avevo vinto  il mio primo e unico concorso pubblico (a parte quello per l’abilitazione alla professione di avvocato, che comunque avevo sostenuto e superato a pieno merito nel 1990), mi buttai a capofitto in mille iniziative di carattere intellettuale: mi iscrissi all’università di scienze politiche per prendermi la seconda laurea; tentai di diventare ricercatore universitario (come avrò modo di narrare in maniera dettagliata, al paziente lettore,  nel prossimo capitolo); ripresi a studiare le lingue straniere (inglese, spagnolo, portoghese, francese  e arabo); e mi sentivo un leone in gabbia, voglioso di rompere tutti gli indugi e di superare ogni ostacolo; niente mi faceva paura e tutto mi sembrava raggiungibile e perseguibile. E anche con le donne sembravo avere imboccato la strada giusta; finalmente ero pervenuto a una piena sintonia con l’altro sesso, ciò che consentiva facilità di approccio e agevoli e disinvolte frequentazioni.
Certo stentavo ancora a entrare nell’ordine di idee di intraprendere una storia seria e matura, illudendomi che fosse possibile vivere in maniera indolore delle storie superficiali e passeggere, all’insegna del puro piacere fisico.
Così è la gioventù e tali sono le nostre illusioni. Ma come faremmo a vivere senza sogni e senza illusioni? 

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mercoledì 20 marzo 2019

Carpe diem



The maxim "Carpe diem" has currently risen to a different meaning from the original Horace's lyric poet of the Carmina.
As a matter of fact Horace's dialogue to the young Leuconoe is not an invitation to enjoy blindly the life, but is better a call to live the possible happyness that the incertainty of our life can offer to us (carpe diem: quam minimum credula postero).
In this point of view "carpe diem" accords with the right meaning contained in Saint Mathew's Gospel (Chapter 6, 25-31) with which Jesus invites us to live today without the ambush for tomorrow.
So we can say, with Novalis,  that the great latin poet  Horace,  was the real priest-poet. 

giovedì 14 marzo 2019

Free Nasrin Sotoudeh


Though Mohammad Moqiseh, a judge at a revolutionary court in Tehran, said on Monday that Nasrin Sotoudeh had been sentenced only to five years (and not to decades of prison and to be lashed in a public place) for assembling against national security and two years for insulting the country’s supreme leader, Ali Khamenei, we are all very worried about the human rights in Iran.
The concerns are increased by the circumstances that Nasrin Sotoudeh is a lawyer and as such she has spent her professional efforts to defend several  Iranian  people from the invadence of the religious dictatorship.
As a western citizen I found inacceptable that a regimen of a no democrat state  inhibits lawyers and writers to criticise the vertices and the powermen of the apparatus.
Please don't think and don't tell me this is a domestic jurisdiction affair.
The globalisation has mad the entire world a unique, great comunity.
How long do we have to wait until all the men and women in the world can freely speech even against the power?
It's a shame that in the third millennium we must assist to convictions for opinion crimes.
We want freedom of speech for everyone in the world.
We want the men of state and power stop preventing lawyers, journalist and simple citizens to express their opinions.
We can't tolerate anymore a censorship of the free speech and the free human thought.
Enough it's enough!

domenica 10 marzo 2019

Memorie di scuola - Parte terza



Capitolo primo
Anno scolastico 1987-1988

Anche a distanza di oltre trent’anni, ricordo bene il mio primo anno scolastico da insegnante.
Ero fresco vincitore da concorso e avevo in mente le parole del presidente della commissione che mi aveva abilitato: “ Voi vincitori del concorso a cattedre dovete tenere alta la bandiera della scuola. Uno dei mali che affliggono la scuola italiana, oggi, è costitutito dal precariato. Docenti precarizzati per anni, se non per decenni, quando passano in ruolo, tirano i remi in barca e smettono di lottare. E’ quasi una rivalsa inconscia e istintiva contro chi ti ha trattato male.”
Con queste parole di  fuoco avvenne il mio battesimo. Nient’altro. Feci sì, in quell’anno cruciale (si chiamava, all’epoca, di straordinariato o per l’immissione in ruolo; adesso non saprei), un corso di aggiornamento. Per la mia classe di concorso si tenne a Nuoro. Niente di speciale; interessante, ma non focalizzato sull’insegnamento e suoi metodi.
Aprresi così in un colpo solo tre cose fondamentali della scuola italiana: primo, che bisognava lottare; ma io sono stato sempre un lottatore nella mia vita. Sono il sesto di undici figli, esattamente a metà; piccolo bersaglio per i più grandi di me; punto di riferimento e ancora di salvezza per i più piccoli. Se non lotti, in certe situazioni, soccombi. Tutta la vita, in fondo, è una lotta: personale, fisica, sociale.
La seconda è che lo Stato, della Costituzione e dei principii costituzionale era il primo a fottersene: infatti, se per obbligo costituzionale i posti pubblici sono assegnati per pubblico concorso, come mai la scuola veniva consegnata in mano ai precari per decenni?
La terza è che nessuno mi avrebbe mai insegnato a insegnare: l’università non lo aveva fatto (e che io sappia, non lo fa tuttora); la scuola, intesa come datore di lavoro, era ancor meno disponibile  a farlo ( e neanche adesso, da vecchio, ho avuto la fortuna di un ausilio in tal senso).
Senza pensarci troppo su e senza neanche perdermi d’animo, agii d’istinto e secondo coscienza: ero stato assunto per insegnare diritto (nei suoi diversi e molteplici rami), economia politica e scienza delle finanze; ebbene, intanto dovevo sentirmi forte e preparato in quelle materie; per il resto, mi sarei regolato strada facendo.
Mi buttai così a capofitto nello studio delle materie. Una buona base me l’aveva data l’Università di Cagliari; questa base l’avevo poi rafforzata per la preparazione dell’esame: due scritti e gli orali in tutte le materie (in realtà molte più di tre, considerando, oltre al diritto privato, commerciale e pubblico, anche il diritto tributario, il diritto finanziario, la politica economica e la contabilità pubblica).
Adesso dovevo calibrare le mie conoscenze e calarle nelle realtà dell’insegnamento quotidiano e concreto.
Questo compito richiese un lavoro indefesso e disperato per i  primi cinque anni (domeniche comprese) ma alla fine ne venni a capo (nel senso che ero in grado di svolgere le lezioni frontali richieste e di risolvere i dubbi proposti.
Per quanto riguarda i metodi di insegnamento, il discorso era alquanto diverso.
Qui non si tratta di scibile e  di conoscenza; la capacità di trasmettere quello che si sa (molto o poco che sia) ha a che fare con elementi diversi dalla stessa intelligenza specialistica e dalla conoscenza dei temi da insegnare.

Leggi il  testo integrale della prima parte dl romanzo ” Memorie di scuola” di Ignazio Salvatore Basile,  acquistandolo on line(c/o Mondadori store, Feltrinelli, IBS, Libreria Universitaria, Amazon ecc.) oppure in libreria il volume edito da Youcanprint ISBN 9788827845486. Il romanzo è disponibile anche in formato e-book nel sito della casa tramite il link sottostante.



sabato 2 marzo 2019

Please don't go


Please don't go away
We share the same history
Our roots are merged 
in a common mud
made of blood, of sweat, of love.

We have walked together
since that day Julius Caesar
discovered that my land and your land
were just parts of the same unity.

Please don't go:
we need each other
we need to minge together
our fantasy and your cleverness
our genius and your greatness.

Europe won't be
the same without you
Albion sons, Cox brothers:
just don't go away.