L’udienza si teneva nella grande sala circolare del mastio orientale,
due volte al mese, nel primo giorno di luna ponente e di luna calante, di
fronte alle statue colossali che rappresentavano i capitribù di un passato immemore, ma che
riviveva grazie alla loro presenza, testimoniando la grandezza passata. Lui sedeva sul trono
scolpito nella gradinata, affiancato da sua moglie Irisha e dallo sciamano Elki,
le persone di cui si fidava di più in assoluto. Sua moglie riusciva a vedere
delle sfumature importanti che a lui
solitamente sfuggivano, mentre Elki sapeva sempre porre le domande giuste al
momento giusto. La decisione finale spettava a lui, per legge, ma
dall’andamento dell’interrogatorio condotto da Elki e dagli sguardi di sua
moglie, lui si sentiva più sicuro sulla decisione da prendere. I contendenti
venivano sentiti separatamente; poi
assistevano insieme alla lettura sentenza.
Vi era sempre un quarto uomo del governo che assisteva alle udienze, ma non
poteva intervenire per alcuna ragione. Era il rappresentante del capo delle
guardie nuragiche. Doveva solo ascoltare e registrare mentalmente la decisione,
perché sarebbe spettato alle guardie farla eseguire, in caso di ulteriore
dissidio o inadempimento. Ma questo succedeva di rado. Ad ogni buon conto,
fuori dall’aula delle udienze, un drappello di guardie garantiva l’ordine ed
era pronto ad intervenire per sedare qualunque intemperanza. Ma anche questo
era raro. Itzoccar godeva di una grande autorevolezza tra il popolo; era un
uomo ponderato nelle decisioni ma aveva il pugno di ferro con quelli che si
ribellavano e non rispettavano l’ordine costituito. Il mancato rispetto di una
sua sentenza poteva voler dire la morte, o l’esilio, nella migliore delle
ipotesi. Di preferenza Itzoccar non amava ricorrere all’ordalia; aveva una
sorta di diffidenza per quel tipo di giudizio basato sul giuramento e sul
responso misterioso e inarrivabile degli dei. Lui preferiva che si pervenisse a
una sentenza fondata sulle consuetudini,
sui fatti e sul ragionamento. Finché ciò era possibile, ovviamente.
I casi da trattare riguardavano
le dispute più diverse: litigi sui furti di bestiame; furti di derrate alimentari;
contestazioni sul possesso di oggetti personali; inadempimento dei versamenti
dovuti all’Annona; inadempimento dei contratti stipulati tra privati; litigi
tra coniugi e tra figli e genitori; aggressioni, risse, lesioni gravi e
omicidi. I casi più complessi erano quelli che riguardavano membri di altre
tribù, di solito quelle viciniori, che avevano i territori confinanti con Kolossoi. In tali casi
occorreva coinvolgere le autorità di appartenenza, prima di prendere una
decisione. Insomma, c’era sempre un bel da fare, considerando che la tribù di
Kolossoi contava quasi cinquemila abitanti, sparsi su un territorio sterminato,
tutt’attorno al villaggio nuragico principale;
per tutta la parte bassa dell’Altipiano della Giara sino al confine
della pianura del Campidano, si estendevano una miriade di piccoli villaggi
nuragici, capanne sparse, minuscoli agglomerati, case rurali di fango e paglia;
e tutti facevano capo al villaggio principale e alla reggia nuragica di Kolossoi, almeno per le cause di seconda e
ultima istanza, quando le autorità locali non erano riuscite a placare gli
animi e a comporre la controversia.
Per fortuna l’udienza si chiuse quando il sole era allo zenit e non ci
fu bisogno di riprendere dopo la pausa del pranzo. Le libagioni, che invero sulla
tavola di Itzoccar non scarseggiavano mai, nei giorni di udienza si
arricchivano dei doni portati dai contendenti: vini di ogni tipo e gradazione
(particolarmente apprezzati da Itzoccar), agnellini e volatili domestici, selvaggina,
pesci da arrostire, formaggi, frutta, verdure e dolci tipici venivano
sapientemente gestiti da Irisha che non mancava mai di beneficiare le vedove e
gli orfani, più bisognosi degli altri di
sostentamento e di aiuto materiale.
Dopo pranzo Itzoccar si ritirò per il suo consueto riposo. Poté
finalmente liberare la sua mente, sbrigliandola verso l’imminente raduno
settennale. Cogli occhi della mente vide il profilo del villaggio di Gisserri,
col suo doppio ordine di torri, prima cinque, attorno a quella centrale, poi
sette e d’intorno le capanne con la sommità di frasche. Si addormentò così,
pensando al suo amico Hannibaàl e agli altri capi che avrebbe presto incontrato
e con i quali avrebbe potuto concordare una comune strategia per la gestione
della difficile situazione, fattasi più stringente e pesante per la pressione
che le città stato dei Shardana esercitavano sui villaggi, nel tentativo, sempre meno nascosto, di espandere la loro
cultura, i loro traffici e la loro influenza politica che, al contrario di
quella nuragica, sembrava in ascesa. Toccava a loro predisporre le contromisure
per salvaguardare la loro sopravvivenza.
Sognò che i giganti dei suoi
antenati si risvegliavano dal sonno secolare e
affiancati dai possenti guerrieri ricacciavano in mare gli odiati Shardana
e la Sardegna tornava libera e grande, come in passato e per sempre.
Al suo risveglio il mondo gli sembrò meno brutto e il futuro meno
incerto. Diede gli ordini necessari a preparare il suo imminente viaggio.
Nessun commento:
Posta un commento