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mercoledì 1 giugno 2022

Il commissario De Candia indaga - 1

 


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Al di là delle evidenti apparenze

Romanzo giallo di Ignazio Salvatore Basile

Capitolo primo

Come ogni mattina, anche quel lunedì, il commissario Santiago De Candia fece una breve sosta all’edicola di Largo Gennari, che da casa sua, in via Monteverdi, lo conduceva in Questura.

Checco gli allungò subito i due soliti quotidiani, piegati in due. La Stampa e L’Opinione.

Come tanti cagliaritani, Checco chiamava il quotidiano cittadino ‘l’Opignone’. Il commissario, nonostante fosse nato in Sardegna, non aveva ancora capito se si trattasse di un difetto di pronuncia oppure di un vezzo.

La seconda sosta, più lunga, era quella al Bar di Tonio, il Caffè Intilimani, come recitava l’insegna. Era stato coniato un unico vocabolo composto dal nome di un famoso gruppo musicale cileno degli anni ’70 da cui, verosimilmente, il fondatore del locale aveva preso ispirazione.

Il commissario De Candia salutò con un cenno il barista. Era sufficiente. Il barista sarebbe subito arrivato con la sua colazione. Ci teneva a servirlo personalmente.

Seduto al solito tavolino, in fondo al locale, mentre aspettava il suo cappuccino e il suo croissant alla crema, aveva aperto l’Opinione. A prescindere dal nome, il quotidiano regionale si faceva apprezzare soltanto per la cronaca. Per le altre notizie,  lui preferiva la Stampa di Torino, sulla quale si era orientato dopo tanti anni passati a formarsi su La Repubblica.

«Ha letto dell’assassino preso con il coltello in mano?» gli disse Tonio poggiando il vassoio. «I miei clienti non parlano d’altro oggi!» riprese con un tono di rassegnazione di chi  non si aspettasse alcuna risposta.

Il commissario De Candia non amava molto le chiacchiere. Dopo anni che frequentava il suo bar, Tonio aveva imparato a rispettare la  riservatezza di quell’uomo che comunicava l’essenziale con gli occhi e che evitava ogni parola superflua.

L’articolo di spalla rimandava la notizia alle pagine interne della cronaca dove ampio spazio era dedicato all’assassino con il coltello in mano, come il giornale aveva definito l’omicidio che il barista gli aveva segnalato.

C’era una foto della vittima. Una certa Emma Pirastu, di anni ottantaquattro. Una bella signora, osservò De Candia. Distinta, dal viso intelligente, forse un’insegnante in pensione oppure un’impiegata.

Era stata uccisa, in un quartiere residenziale di Cagliari, dal nipote, un quasi trentenne, di cui si riportavano soltanto le iniziali.

L’assassino era stato colto in flagranza di reato con il coltello ancora in mano, grondante del sangue della zia, che giaceva esanime ai suoi piedi in cucina. I Carabinieri della Polizia Giudiziaria, coordinati dal procuratore capo Bartolomeo Gessa, intervenuti prontamente sul posto dietro segnalazione di una dirimpettaia, allarmata dalle urla disumane della povera vittima,  avevano  risolto a tempo di record il caso, assicurando l’assassino  alla giustizia, commentava la capo redattrice della cronaca nera, Maria Carla Coseno.

Il commissario si sentì prudere il naso. Aveva sempre sentito dire che il prurito al naso poteva significare due cose alternativamente, soldi in arrivo oppure colpi. Ma il suo era un naso da sbirro e spesso gli prudeva quando leggeva qualcosa che non quadrasse. Oppure quando stava per imbattersi in qualcosa di importante e di risolutivo. Gli succedeva talmente spesso che ormai non ci faceva quasi più caso. In quell’occasione poteva perfino trattarsi di un po’ di zucchero a velo, finito dal croissant sul suo naso. Ci strofinò sopra un tovagliolo, mentre si detergeva le labbra da eventuali segni della colazione e si alzò in piedi.

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