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last moon
mercoledì 29 giugno 2022
The real story of Patrick Winningoes-3
martedì 28 giugno 2022
The real story of Patrick Winningoes-2
https://www.amazon.it/real-story-Patrick-Winningoes-Salvatore-ebook/dp/B0B244SFNQ/
domenica 26 giugno 2022
The real story of Patrick Winningoes-1
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«I will soon be back, make yourselves at home, please»
- the man said going out. We looked at each other, George and I. It had only been
from the morning that we didn’t have a chance to stay alone, however I swear
that it seemed to me as it was an eternity.
He spoke for the first . -«That’s a real story of madness! »– he burst out taking
a seat in one of the four wood armchairs that were around a circular table in the
center of the small room–«This man must be crazy !
Let's put him off as soon as is back and let's escape from here, until we are
in time»–he added while I was taking a seat in front of him.
-«Just a moment, George, may be it will seem strange to you, but I don't feel
afraid of this man! He inspires a sort of trust on me, despite his strangeness.»
-«But do you realize what are you talking about? Have you gone out of sense
too? This man must have some extraordinary powers: hasn't he hypnotized us just
slightly before? Have you also heard him talk of super-races and brain's
experiments or have I dreamed of it?»–George
attacked me nervously.
-«Be quiet, please, George» - I told him in a calm voice. –«First of all, I
don't believe he has hypnotized us, just before. Secondly, if he is really so
powerful as you say, what could be his reaction, when we try to immobilize him?
Make a point on it: when we arrived
here, we were both sleepy. Therefore if he wanted to use us as guinea-pigs, two punctures
were enough for him to knock us down! On
the other hand I have not still seen nor cats that resemble to mice, neither
men with a square brain! Who can be sure that the old man is not inventing everything?
It would not surprise me if this story derived from the imagination of some
fantastical writer. I want to go to the end of all these circumstances. Don’t you also want to know what kind of job's proposal
Mr Winningoes is going to make us?»
George gazed for a long time in to my eyes, thoughtfully. Then, without
answering, he relaxed on the back of the chair, releasing the muscles and
breathing deeply.
He stood with half open eyes crossing at
once the feet and the hands softly on the womb, with the right hand covering the palm of the
left one. He seemed to me almost slept, while only the breath animated his
body.
Won by all those unexpected and subsequent emotions, I also imitated him doing
my best on sitting comfort on the wood ancient chair.
to be continued...
sabato 25 giugno 2022
Il commissario De Candia indaga-22
Al mattino, mentre si recava al mercato civico di San
Benedetto, per il suo consueto shopping
alimentare del sabato mattino, era
passato davanti a un negozio di fiori e aveva vinto i suoi dubbi e le sue
ritrosie. Le aveva mandato quindici rose rosse (dodici erano pari e non andava
bene, gli aveva detto il fioraio; e tredici non andavano bene a lui; ) con un
invito per il matinèe al teatro dell’opera, dove andava in scena, il giorno
dopo, la Carmen di Bizet.
«Volevo ringraziarti anche per l’invito a
Teatro che accetto ben volentieri!»
aggiunse Luisa Levi, tornando al suo consueto tono di voce, squillante e
professionale, che al commissario piaceva comunque tanto.
«Benissimo. Allora ci vediamo domani! Passo
a prenderti alle 17,30!»
«D’accordo. Ma se la giornata lo consente,
sarebbe bello andare a piedi. Da casa mia è sufficiente attraversare il Parco
della Musica e siamo subito a Teatro!»
«Va bene. Parcheggerò nei dintorni e poi
andremo a piedi!»
«Trattandosi di un matinée non penso di
mettermi in abito da sera…»
Il commissario rifletté solo un attimo. L’avvocato
Levi non parlava mai soltanto per parlare.
«Tranquilla, non mi metterò lo smoking!
Forse un abito beige, addirittura..»
«Buono a sapersi!»
commentò Luisa Levi soddisfatta. E subito dopo aggiunse:
«Com’è andata la riunione del venerdì?»
«Bene! Domani ti dirò»
rispose il commissario che non amava intrattenersi troppo al telefono, neanche
con una persona speciale come lei.
«Anche io ho delle novità in proposito…»
disse lei a sua volta.
«Non vedo l’ora di sentirle e non vedo
l’ora di vederti!» si sbilanciò il
commissario, per farle capire, ma con il dovuto garbo, che avrebbe preferito
parlarne di persona.
Lei capì al volo e dopo qualche altro convenevole di
prammatica si salutarono.
Il commissario voleva godersi ancora un po’ il suo
confortevole divano; si preparò un caffè, mise un disco della Carmen e dopo
aver recuperato il libretto che venti anni prima aveva acquistato al teatro in
occasione della regia che il grande Peter Brook aveva curato per quell’opera
all’anfiteatro romano, ormai chiuso agli spettacoli da anni, si dedicò alla
lettura del libretto. Gli serviva da ripasso, ma gli sarebbe stato utile
qualora la sua accompagnatrice si fosse voluta confrontare con lui su
quell’opera così densa di sentimento e di passione.
La sua accompagnatrice, all’indomani, si mostrò
alquanto preparata. Si era vestita con una
gonna plissettata color ocra, al ginocchio e un maglioncino nero, a
maniche corte, sui spiccava un filo di perle bianche. Una giacca in tinta con
la gonna e una pochette rossa, a tracolla,
abbinata nel colore alle scarpe
tacco dieci, completavano la sua mise
elegante.
Il commissario ebbe da ridire sulla regia, che aveva
ambientato la vicenda negli anni trenta del secolo ventesimo, invece di
adeguarsi all’ambientazione originale, che retrodatava a oltre un secolo
precedente. Luisa lodò come
apprezzabile lo sforzo registico,
definendolo un tentativo apprezzabile di svecchiare l’opera.
giovedì 23 giugno 2022
Il commissario De Candia indaga-20
«Ma non sarà che questo aggraverebbe invece
la sua posizione di indagato?» osservò l’ispettore
Zuddas, che amava sempre fare la parte dell’avvocato del diavolo. Proprio per
questo era apprezzato dal commissario, che non dava mai niente per scontato e
voleva sempre valutare anche ogni più remota possibilità!.
«Tu dici?»
chiese rivolto al suo collaboratore.
«Be’, certa gente non sa aspettare il
momento giusto e non vede l’ora di intascare l’eredità. Del resto era noto
anche agli antichi che ‘ambulatoria est voluntas defuncti usque ad vitae
supremum exitum’»
«E
tu, Farci, che ne dici?»
«Al di là degli ambulatori e dei latinorum
di Zuddas» rispose il sovrintendente che non amava
quel vezzo di parlare per massime latine del suo collega, ma che lo apprezzava
per il resto.«Io credo che qui ci troviamo davanti
all’azione di un solo uomo. Il suo profilo sembrerebbe corrispondere a ‘Sa
Mantininca’ o magari anche a quell’altro nipote della vittima, quello che vive a Carbonia. Anche se non escludo del tutto altre ipotesi, ma
queste due mi sembrano le più verosimili!»
«Se siete d’accordo allora approfondirei,
per il momento, queste due ipotesi. Restiamo pronti e aperti a ogni svolta. Del
resto, se ci pensate bene, mentre sembra impossibile trovare un legame tra l’indagato Alessandro Pirastu e quel topo
d’appartamento, come lo chiamano? sa Mantininca, non sarebbe fuori
contesto un legame tra i due
cugini. Ma attenzione, qui c’è un gran
però! Il cugino di Carbonia subentra nell’eredità in maniera diretta, per
rappresentazione, dato che la madre, sorella della vittima, è già morta.
Alessandro, l’altro cugino, senza testamento non becca l’ombra di un quattrino,
perché prima di lui c’è il padre, collaterale di terzo grado, né più né meno,
come la sorella defunta Anita, che però ha trasmesso il grado di parentela ai
figli, Maria Grazia e Andrea»
«A questo non avevo pensato davvero,
commissario!» esclamò Zuddas in tono di ammirazione «E
anche un accordo tra una persona come Alessandro Pirastu e sa Mantininca mi
parrebbe non plausibile. Resta pur sempre una remota possibilità che l’accordo
possa magari esserci stato tra questo Mantininca e il cugino di Carbonia…»
«Ma infatti»
convenne il commissario. «Non chiudiamo del tutto
una simile eventualità. Se c’è un collegamento tra i due, vedrete che salterà
fuori! Io sono sicuro di riuscire a procurarmi un elenco e una descrizione dei
gioielli sin dai primi giorni della settimana prossima. Poi ne faccio una copia
per ciascuno di voi e vediamo di scoprire che fine hanno fatto questi gioielli.
Se da qualche ricettatore di Cagliari, oppure da qualcuno di Carbonia. Inoltre
cerchiamo di scoprire dove si trovavano i due indiziati sullodati all’ora e nel
giorno dell’omicidio. Verifichiamo i loro alibi. Io mi occupo delle indagini
sul libretto postale e sulla carta del Bancomat che sono spariti insieme al
testamento e agli altri documenti. E ci aggiorniamo alla settimana prossima!»
«Se vuole posso occuparmi io anche del libretto
postale e della tessera bancomat!»
disse il sovrintendente con la sua consueta disponibilità.
«Commissario, conti anche su di me!»
confermò l’ispettore Zuddas.
Entrambi i collaboratori preferivano che il loro
coordinatore si concentrasse sull’analisi dei fascicoli. Un po’ perché
preferivano l’indagine sul campo e un po’ perché si rendevano conto di quanto
De Candia volasse sempre una spanna più in alto di loro nell’analisi e nella
verifica dei risultati delle varie indagini. E’ per questo che lo ammiravano incondizionatamente.
«No grazie, ragazzi. Penso di farcela ».
«Chi paga oggi l’aperitivo?»
chiese Zuddas.
«Oggi pago io! Però devi promettermi che da
qui al bar e anche al ritorno, non parlerai latino!»
«Videtur acceptum!»
esclamò l’ispettore con tono provocatorio!
Il
sovrintendente rispose per le rime! E spingendosi come due scolari, si
avviarono tutti insieme al bar.
Il
commissario si considerò fortunato ad averli tra i suoi collaboratori.
martedì 21 giugno 2022
Il commissario De Candia indaga-18
Capitolo Settimo
L’indomani era venerdì e come
ogni settimana, alle dieci in punto, si tenne la riunione del team operativo
della squadra omicidi capitanata dal commissario Santiago De Candia.
Il commissario faceva
sempre in modo che il numero dei fascicoli non superasse mai il numero di sei,
massimo sette, tra nuove acquisizioni che arrivavano e vecchi fascicoli che tornavano in procura
per l’archiviazione. Ma anche per la proroga semestrale delle indagini ovvero
per il rinvio a giudizio dei diversi indagati, a secondo di quello che reputassero più opportuno i vari procuratori titolari
delle indagini, fossero essi sostituti o capi procuratori.
La mattinata di lavoro
iniziò con l’analisi del fascicolo dei due fratelli uccisi a Settimo San
Pietro. L’evento criminoso si inseriva in una faida che durava da oltre mezzo
secolo e le indagini erano in completo stallo. Impossibile rompere quel muro di
omertà che si ergeva attorno a queste vendette, che finiscono quasi per
diventare un fatto privato delle famiglie in guerra. Probabilmente ci sarebbe
stato, tra qualche mese o tra qualche anno, un’altra vendetta, e la catena
della faida si sarebbe allungata ancora con il sangue di nuove vittime. «Ci
vorrebbe l’occhio del Padreterno, come per Caino e Abele!» disse sconsolato
l’ispettore Zuddas che si era buttato anima e corpo nell’indagine, e quel mondo
agropastorale lo conosceva abbastanza, essendo stato sposato con la figlia di
un possidente allevatore di bestiame del quale, in realtà, non era mai riuscito
a penetrare la complessa personalità fatta di codici d’onore, di usi e costumi
tanto arcaici, quanto barbari che lui non condivideva di certo.
La squadra era stata più fortunata nel caso della prostituta strangolata. Il sovrintendente Farci era riuscito a mettere il sale sulla coda a un protettore che tentava di farsi largo a discapito di altri suoi colleghi. Un lenone emergente e rampante, lo aveva definito l’ispettore con una delle sue mirabili pennellate letterarie tratte dal suo infinito repertorio latino, mandando su tutte le furie il sovrintendente Farci, ma facendo sorridere nascosto dai baffi, il commissario De Candia.
Del corpo privo di arti e
restituito dal mare erano ancora in attesa delle analisi dell’istituto di
anatomopatologia e di qualche riscontro dalla banca dati del DNA.
I due collaboratori del team
relazionarono a turno sugli altri tre casi che parevano in dirittura di arrivo,
pronti per essere restituiti alla procura per la chiusura delle indagini. In
particolare il sovrintendente Farci era riuscito a scovare il matricida, indagando
nel mondo dei tossicodipendenti. Ma non era stato tanto difficile, aveva
spiegato relazionando ai suoi colleghi
più anziani perché anche nel mondo della droga esiste un codice d’onore che
condanna senz’appello chiunque osi toccare la mamma. E che comunque, in quel giro,
si trova sempre qualcuno che, in cambio di un trattamento di favore o di una
promessa, è pronto a tradire uno che, oltre ad avere ucciso la propria madre,
ha attirato sul loro mondo quelle indesiderate attenzioni che la Giusta e la Pula
dedicano ai casi di omicidio, considerati intollerabili e perseguiti con
maggiore severità, rispetto al semplice, piccolo spaccio, fatto dai tossici per procacciarsi
la roba necessaria a tacitare il loro terribile vizio di tossicodipendenza.
domenica 19 giugno 2022
Il commissario De Candia indaga-16
Quando
arrivò alla casa di via Giudicessa Adelasia lei era già lì che aspettava. Aveva
ripreso le sue eleganti sembianze professionali, con il suo mezzo tacco nero,
il tailleur sartoriale color amaranto, il suo preferito. I capelli raccolti in
un elegante chignon e il trucco leggero, ma sapiente, donava ancora più luce ai
suoi occhi e alla sua pelle.
Si
salutarono affettuosamente, come due vecchi amici. Subito il commissario
armeggiò con le chiavi che gli avevano dato in procura e che erano state
sequestrate all’assistito dell’avvocato Levi, il presunto assassino con il
coltello insanguinato in mano. Quando furono dentro casa l’avvocato provò le luci.
La corrente c’era ancora, anche se non serviva. L’appartamento era luminoso e
il sole illuminava ancora quella bella giornata di maggio. Il commissario
sollevò le tapparelle del salottino della casa della vittima di quel brutale
assassinio, ancora avvolto nel mistero, ancora senza un colpevole vero. Dalla
finestra vide un volo di fenicotteri, come una squadra di aerei, sfilare verso
la zona degli stagni.
L’avvocato
aprì la borsetta e consegnò la chiave al commissario, che nel frattempo aveva staccato
dalla parete il quadro che copriva la cassaforte a muro.
Luisa
gli stava di fianco e si sollevò sulla punta dei piedi per vedere meglio
l’interno della piccola cassaforte. Ma non c’era niente. Il commissario passò
la mano destra su entrambi i ripiani, per esserne ancora più certo. La
cassaforte era davvero vuota.
I
due si guardarono. La più incredula sembrava però proprio Luisa.
«Mi
ha detto il mio assistito che oltre al testamento, la zia ci teneva dei buoni
postali nominativi, diversi gioielli personali, alcuni documenti, tra cui la
carta d’identità e il codice fiscale.»
«Senti,
e la chiave della signora dove potrebbe essere? Ho visto delle chiavi
nell’ingresso…»
«Vado
a prenderle!» si offrì lei prontamente. «Anche
se so che la chiave della cassaforte, la signora Emma, la teneva nel primo
cassetto del comò, insieme alla carta del bancomat e a piccole somme in
contanti.»
«Io
vado a fare una ispezione più accurata rispetto a sabato scorso!»
disse il commissario mentre lei andava a prendere le chiavi.
Quando
tornò con diversi mazzi di chiavi, il commissario aveva svuotato quasi del
tutto il primo cassetto, disponendo il contenuto che aveva estratto sul letto
della povera vittima, più o meno nello stesso ordine in cui lo aveva trovato.
«Ecco
tutte le chiavi appese nell’ingresso. La chiave della cassaforte non c’è. Quindi deve essere per forza qui!»
Così
dicendo si mise a esaminare ciò che Santiago aveva estratto dal cassetto. Nel frattempo il commissario rovistò negli
altri cassetti del comò.
«A
meno che…» disse Luisa mano a mano che si rendeva
conto che la sua cernita e quella del commissario non avrebbero sortito alcun
risultato.
«A
meno che non se la sia portata via l’assassino!»
completò il commissario, anticipandola.
«Quello
vero!»
precisò l’avvocato. Nel suo viso, adesso, l’incredulità aveva lasciato il posto
a una certa soddisfazione. Alla sua tesi stavano arrivando conferme,
scagionando definitivamente, se ancora ce ne fosse stato bisogno, il suo
assistito anche agli occhi del commissario
«Per
scrupolo io cercherei meglio. Magari la chiave è stata riposta dalla stessa
vittima in un altro posto…magari anche nella tasca di una vestaglia. Che ne
dici di rovistare insieme tutto l’appartamento?»
«Dico
che va bene! Ma chissà perché io penso che non troveremo niente!»
Dopo
un’ora abbondante la loro ricerca certosina non aveva dato alcun esito.
L’intuito dell’avvocato aveva visto giusto. Qualcuno aveva preso la chiave
della cassaforte, portando via anche tutto il contenuto, oltre la carta del
bancomat e i soldi. E questo qualcuno poteva essere soltanto il fantomatico
assassino senza volto.
«Ma
come avrà fatto?» chiese Luisa come
interrogando se stessa. «C’erano i Carabinieri,
qui, in casa. Possibile che l’assassino avesse già svuotato la cassaforte quando
sono arrivati i Carabinieri? E se aveva già svuotato la cassaforte cosa faceva
lì in cucina, dove è stato trovato il corpo della signora Emma?»
«Vieni,
andiamo su in mansarda. Io un’idea ce l’avrei!»
disse il commissario avviandosi verso la ripida scala in legno che portava in
mansarda.
venerdì 17 giugno 2022
Il commissario De Candia indaga-14
Ripresero l’auto e a un certo punto della strada
provinciale imboccarono una strada secondaria che portava, secondo le
indicazioni stradali, alle grotte de ‘Su
Mannau’. Lì, in mezzo ai boschi, c’era il ristorante a cui si riferiva il
commissario.
«Speriamo che sia aperto!»
esclamò l’avvocato Levi appena l’auto fu parcheggiata all’ombra di alcuni
possenti alberi.
Tutt’attorno, a vista d’occhio, non si vedevano altro
che lecci, olivastri e macchia mediterranea.
«Tranquilla! Ho prenotato sin da ieri sera»
disse il commissario.
In effetti erano attesi. Il titolare in persona li
accompagnò a un tavolino già apparecchiato. Da lì potevano godere del paesaggio
selvaggio che li circondava.
Scelsero un menù di mare, innaffiato con un ottimo vino
bianco paglierino. Il commissario notò che Luisa non aveva perso il piacere di
mangiare, né quello di accompagnare i suoi pasti con un buon bicchiere di vino.
Non era frequente trovare in una donna entrambe le abitudini. O forse era lui
che aveva conosciuto, soprattutto in casa sua, soltanto donne praticamente
astemie e schifiltose nel mangiare, cui facevano da contrappunto uomini dalle
buone forchette e dai gomiti snodati. Insomma era un piacere stare a tavola con
quella donna, che in più era anche un’ottima conversatrice.
Quando giunsero in vista di Buggerru era già
pomeriggio inoltrato. Con il suo fuoristrada il commissario si inerpicò senza
troppe difficoltà su un promontorio roccioso in cima al quale la loro vista
dominava la baia di Cala Domestica.
Lì si fermarono a lungo e in silenzio, persi nei loro
pensieri. E mentre Amàlia Rodrigues cantava i suoi strali di sofferenza, le
loro anime si fusero in quella Saudade malinconica, pervase da quel languore fisico
che solo il Fado, il Flamenco, il Blues e certe Canzoni Napoletane, nelle loro
diverse e struggenti varianti, sanno dare. E quel silenzio li unì più di tutte le storie che si erano raccontati dalla
partenza, durante il viaggio nelle miniere, fino al ristorante, a ridosso delle
antiche gallerie. Forse le loro storie incombevano e si calavano in quel
silenzio e, attraverso i loro sensi, si proiettavano nel paesaggio circostante,
frusciando tra cisti e ginepri, accarezzando olivastri e corbezzoli, appianando
sino al mare della costa verde, dopo avere sfiorato i faraglioni, le falesie e
le torri spagnole che un tempo avevano
difeso quelle coste dalle incursioni dei Saraceni.
Dopo che il
sole si fu immerso nel mare, in cielo
apparve una luce, quasi all’improvviso.
«Guarda com’è lucente e vicina!»
disse Luisa Levi indicando quella luce sopra l’orizzonte.
«Dev’essere…»
«Venere!»
concluse lei, precedendolo.
Lui si voltò a guardarla. Quella luce, quel nome,
quella parola che lei aveva pronunciato, quasi leggendogli nel pensiero, gli avevano
suscitato all’improvviso una trepidazione e un’emozione che ritrovò
magicamente negli occhi di lei.
Rimasero così, a guardarsi negli occhi, per un lungo
istante, stupiti di se stessi e della loro tenera trepidazione. Non dissero
altro. Si baciarono a lungo. Poi i loro corpi si cercarono, con un’attrazione
che gli spazi ridotti dell’auto sembrarono rendere perfino più forte e
irresistibile.
Fu un’esplosione di passione, sotto la luce sempre più
forte di Venere, mentre fuori il concerto dell’avi fauna e il frusciare del
vento nella flora selvaggia,
accompagnava i loro sospiri e la danza dei loro corpi, fusi nel magico
ripetersi di un atto, apparentemente sempre uguale, come il perpetuarsi della
specie, eppure sempre diverso, come differenti sono le
occasioni e le emozioni che culminano nell’amore.
mercoledì 15 giugno 2022
Il commissario De Candia indaga-12
«Chissà dove teneva la chiave di quella cassaforte,
la povera signora Pirastu…» disse il commissario,
quasi tra sé e sé.
«Il mio assistito mi ha detto che la teneva
nel primo cassetto del comò, in camera da letto, tra la biancheria intima.»
«È uno dei primi posti dove ho cercato, ma non sono
riuscito a trovarla, né lì né altrove. Ma mi sa tanto che la settimana prossima
ci torno e cerco meglio» disse ancora il
commissario sempre con quel tono distante, come se parlasse per conto suo.
«Se vuoi ci torniamo insieme. E l’apriamo
con la chiave di Alessandro. Dammi soltanto il tempo di chiedergli di portamela
in studio al più presto possibile.»
«Davvero ne ha una copia il tuo assistito?
Caspita, questa sì che è una buona notizia! Mi evita un sacco di rogne di
autorizzazioni per chiamare un fabbro e per fare scardinare la cassaforte!»
«Il mio assistito godeva della massima
fiducia da parte della zia, al punto che la donna ultimamente aveva provveduto
a fargli una delega sul conto corrente bancario dove le accreditavano la
pensione e, spesso, lo incaricava di fare dei prelievi, per suo conto,
direttamente in banca oppure con la carta del bancomat.»
Intanto, mentre
parlavano, avevano lasciato la strada statale e si erano immessi in quella
provinciale per San Gavino. Da lì, arrivati a Guspini, non sarebbero stati
distanti da Gennas Serapis, altrimenti nota come Montevecchio, l’antico borgo
minerario, dove c’era una parte significativa delle radici più recenti di
Santiago De Candia.
E mentre procedevano
verso la loro meta, Luisa Levi apprese, senza quasi mai interromperlo, come il
nonno paterno del commissario, Nicola De Candia, giovane e brillante perito
minerario barese, assunto dalle Miniere di Montevecchio degli Eredi Sanna,
subito dopo la Grande Guerra si fosse insediato nel borgo minerario. E come,
poco tempo dopo, avesse conosciuto a Buggerru, dove si era recato per assistere
a uno spettacolo teatrale, una graziosa fanciulla, di nome Ines Orcel, che
scoprì essere la figlia di un suo collega francese che lavorava per la Societé
des mines de Malfidano, che a Buggerru aveva la sua sede operativa, e della
quale si era innamorato praticamente a prima vista. E in che modo riuscisse a
conquistarla, dopo serrata corte. Favorito in ciò da alcune conoscenze comuni
che gli consentirono di vincere la diffidenza che il padre di lei nutriva verso
i non francesi. E soprattutto aiutato dalla madre di lei, una donna spagnola
della Estremadura, che in quei paesaggi selvaggi della Sardegna e in quel
popolo chiuso e tenace, rivedeva probabilmente la sua terra d’origine e i suoi
stessi avi. In realtà, il nonno del commissario, Nicola De Candia, di sardo
aveva soltanto l’amore e la riconoscenza
verso la terra che lo aveva accolto, dandogli lavoro e rispettabilità.
lunedì 13 giugno 2022
Il commissario De Candia indaga-10
«Che tipo è questo nipote?»
chiese invece all’avvocato.
«Mah! In questo frangente non saprei
davvero definirlo bene. È molto spaventato, oltre che dispiaciuto per il
brutale assassino di una persona alla quale era sinceramente legato, che gli
voleva bene e che perfino lo sovvenzionava generosamente, in cambio dell’aiuto
disinteressato che lui le prestava con entusiasmo e con sincero affetto.»
L’avvocato fece una breve pausa, ma si intuiva chiaramente
il suo desiderio di continuare a
parlare, quantunque non sapesse bene cosa dire.
«Posso dirti una cosa strettamente
riservata!»
Il commissario si sentì prudere il naso. Questo
succedeva quando nell’aria c’era una notizia su cui esercitare la massima
dell’attenzione. O perché era in vista un inganno, oppure perché stava per
venire a conoscenza di qualcosa di importante. Era il suo naso da sbirro a
suggerirglielo e il suo naso difficilmente sbagliava.
«Certo, parla liberamente!»
la incoraggiò il commissario, continuando a guidare.
«Io te la dico, ma devi promettermi che non
la userai mai contro il mio assistito, qualunque cosa accada!»
ribadì ancora l’avvocato Levi.
Anche lei aveva un alto senso del segreto
professionale e forse, in fondo si era già pentita di avere fatto l’offerta. Ma
ormai sembrava tardi per tornare indietro.
Il commissario restò interdetto, tra dubbi e
curiosità! L’informazione riservata lo incuriosiva, e poi poteva essere utile
per le sue indagini. Come privarsene? D’altro canto, però, non sarebbe mai
venuto meno ai suoi doveri di sbirro, su questo non aveva dubbi. Credeva nel
suo lavoro sino in fondo e non lo avrebbe mai disatteso. Risolse pensando che
quell’avvocato, quel diavolo in gonnella, non gli avrebbe mai rivelato un segreto
che potesse danneggiare il suo assistito, che oltretutto, a parere suo,
nonostante le osservazioni capziose dell’ispettore Zuddas, era completamente
innocente. Decise di fidarsi e dopo
essersi passato una mano sul naso che gli prudeva rispose di sì, che non
avrebbe mai usato quella confidenza contro il suo assistito.
«Promessa di sbirro?»
ribadì ancora l’avvocato, a metà tra il serio e il faceto, sapendo bene come il
commissario fosse fiero e orgoglioso di essere un poliziotto con una parola
ferma e fidata.
«Parola di sbirro!»
le confermò porgendole l’indice della mano destra per sigillare la promessa.
L’avvocato strinse forte l’indice con il suo.
«Il mio assistito mi ha confidato che la
zia lo aveva nominato erede universale con un testamento!» aggiunse
subito.
Questa sì che è una notizia bomba, pensò il
commissario.
«Meno male che gli avventori del bar di
Tonio non lo sanno! Altrimenti scoppierebbe una mezza rivoluzione!»
celiò invece, cercando di sminuire l’effetto che aveva prodotto su di lui quella
notizia.
«Chi sono questi avventori e che cos’è
questa storia della rivoluzione?»
chiese l’avvocato divertita, ma con un tono lievemente preoccupato.
domenica 12 giugno 2022
Il commissario De Candia indaga-9
Capitolo
Quinto
Alle nove e mezza in
punto il fuoristrada del commissario De Candia si fermò in via Torbeno,
all’altezza corrispondente al numero civico che figurava nel bigliettino che la
sua amica gli aveva dato il giorno prima. L’avvocato Levi comparve subito
davanti all’ingresso. Indossava dei pantaloni neri e un comodo giubbotto in
pelle ben sagomato, chiuso in alto da un foulard dai colori vivaci. Ai piedi
calzava scarpe con il tacco basso. Una capiente borsa e un capello a larghe
falde completavano il suo abbigliamento. Santiago la vide più che mai
affascinante, ma si limitò a un saluto affettuoso e compassato.
Quando furono sulla
strada statale 131, la storica arteria che ancora collega Cagliari e Sassari,
denominata Carlo Felice, in onore del monarca sabaudo che per primo volle
collegare le due principali città del suo regno, Luisa Levi, dopo i convenevoli
di rito, chiese come fosse andato il sopralluogo del giorno prima in via
Giudicessa Adelasia.
Il commissario Santiago
ci aveva pensato prima di addormentarsi e ne approfittò per esprimere a voce
alta alcuni dei dubbi che gli erano sorti. Di solito non parlava mai con
nessuno, al di fuori della Questura, delle indagini che erano in corso. Al
riguardo la sua riservatezza era pressoché totale. Ma con l’avvocato era
diverso. In qualche modo le ricordava sua moglie. Aveva imparato a fidarsi di
lei e in nessun modo sentiva di venir meno al suo dovere di mantenere il dovuto
riserbo professionale. Anzi, il suo istinto di sbirro lo induceva a ritenere
che un confronto con quella donna potesse essere utile allo sviluppo delle sue
indagini.
«Mi
chiedevo da dove possa essere entrato l’assassino»
disse affrontando uno dei dilemmi che lo avevano tenuto occupato la sera
precedente, prima di addormentarsi. «A
parte la possibilità che sia stata la vittima ad aprirgli la porta per
ingenuità o per conoscenza del suo assassino, non so proprio che dire.
Ispezionando la casa ho pensato che una via di accesso clandestino possa essere
stato dalla mansarda. Infatti, lì ci sono due lucernari, con apertura a
ribalta. Entrambi li ho trovati aperti. Ma mentre uno era fissato con
l’apertura per la ventilazione, che consiste nell’appoggio del telaio a una
levetta a scomparsa, estraibile ad angolo retto per il fissaggio, l’altra era
semplicemente appoggiata al telaio, come se qualcuno l’avesse aperta per
entrare, o magari anche per uscire, e non l’avesse risistemata. E questo secondo
lucernario, per combinazione, è proprio quello che consente l’immissione nei
tetti circostanti, mentre l’altro guarda nel vuoto, esattamente dalla parte
opposta!
«Mmm»
fece l’avvocato riflettendo. «Io purtroppo non ho
potuto ispezionare la casa, che come tu sai bene è ancora sotto sequestro. Però
il mio assistito, quando ho affrontato lo stesso problema con lui, mi ha
descritto questa mansarda, confermandomi che su incarico della zia, era stato
lui, all’inizio della primavera, ad aprire in modalità ventilazione i due
lucernari, altrimenti chiusi durante la stagione delle piogge. Io purtroppo non
ho avuto neppure l’accesso agli atti di indagine, ancora secretati, ma mi
chiedevo se i Carabinieri che hanno proceduto all’arresto abbiano fatto un
sopralluogo nella casa prima di mettere i sigilli»
«Purtroppo
dai verbali non risulta alcun sopralluogo ai locali della mansarda!»
«Eh
già!»
interloquì l’avvocato in maniera polemica. «Erano
talmente sicuri di aver chiuso il caso che non hanno pensato altro che ad arrestare
il povero nipote della signora Emma e a farsi intervistare e fotografare a
destra e a manca!»
Il commissario sorrise,
pensando che questa battuta sarebbe piaciuta molto a uno dei suoi
collaboratori, che non perdeva occasione per criticare l’ossessione mediatica e
la superficialità di certi settori della polizia giudiziaria.