Capitolo Settimo
L’indomani era venerdì e come
ogni settimana, alle dieci in punto, si tenne la riunione del team operativo
della squadra omicidi capitanata dal commissario Santiago De Candia.
Il commissario faceva
sempre in modo che il numero dei fascicoli non superasse mai il numero di sei,
massimo sette, tra nuove acquisizioni che arrivavano e vecchi fascicoli che tornavano in procura
per l’archiviazione. Ma anche per la proroga semestrale delle indagini ovvero
per il rinvio a giudizio dei diversi indagati, a secondo di quello che reputassero più opportuno i vari procuratori titolari
delle indagini, fossero essi sostituti o capi procuratori.
La mattinata di lavoro
iniziò con l’analisi del fascicolo dei due fratelli uccisi a Settimo San
Pietro. L’evento criminoso si inseriva in una faida che durava da oltre mezzo
secolo e le indagini erano in completo stallo. Impossibile rompere quel muro di
omertà che si ergeva attorno a queste vendette, che finiscono quasi per
diventare un fatto privato delle famiglie in guerra. Probabilmente ci sarebbe
stato, tra qualche mese o tra qualche anno, un’altra vendetta, e la catena
della faida si sarebbe allungata ancora con il sangue di nuove vittime. «Ci
vorrebbe l’occhio del Padreterno, come per Caino e Abele!» disse sconsolato
l’ispettore Zuddas che si era buttato anima e corpo nell’indagine, e quel mondo
agropastorale lo conosceva abbastanza, essendo stato sposato con la figlia di
un possidente allevatore di bestiame del quale, in realtà, non era mai riuscito
a penetrare la complessa personalità fatta di codici d’onore, di usi e costumi
tanto arcaici, quanto barbari che lui non condivideva di certo.
La squadra era stata più fortunata nel caso della prostituta strangolata. Il sovrintendente Farci era riuscito a mettere il sale sulla coda a un protettore che tentava di farsi largo a discapito di altri suoi colleghi. Un lenone emergente e rampante, lo aveva definito l’ispettore con una delle sue mirabili pennellate letterarie tratte dal suo infinito repertorio latino, mandando su tutte le furie il sovrintendente Farci, ma facendo sorridere nascosto dai baffi, il commissario De Candia.
Del corpo privo di arti e
restituito dal mare erano ancora in attesa delle analisi dell’istituto di
anatomopatologia e di qualche riscontro dalla banca dati del DNA.
I due collaboratori del team
relazionarono a turno sugli altri tre casi che parevano in dirittura di arrivo,
pronti per essere restituiti alla procura per la chiusura delle indagini. In
particolare il sovrintendente Farci era riuscito a scovare il matricida, indagando
nel mondo dei tossicodipendenti. Ma non era stato tanto difficile, aveva
spiegato relazionando ai suoi colleghi
più anziani perché anche nel mondo della droga esiste un codice d’onore che
condanna senz’appello chiunque osi toccare la mamma. E che comunque, in quel giro,
si trova sempre qualcuno che, in cambio di un trattamento di favore o di una
promessa, è pronto a tradire uno che, oltre ad avere ucciso la propria madre,
ha attirato sul loro mondo quelle indesiderate attenzioni che la Giusta e la Pula
dedicano ai casi di omicidio, considerati intollerabili e perseguiti con
maggiore severità, rispetto al semplice, piccolo spaccio, fatto dai tossici per procacciarsi
la roba necessaria a tacitare il loro terribile vizio di tossicodipendenza.
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