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Mentre pagava alla cassa colse distintamente alcuni commenti
dei clienti di Tonio.
-
“ Ma cosa aspettano a reintrodurre la pena di
morte?
Ancora senza vedere in viso chi parlava, udì i commenti che
seguirono:
-
“Magari! Invece lo dovremo mantenere per chissà quanti anni in carcere, servito
e riverito!”
-
“ Non ti preoccupare!” – disse una terza voce- “
Con un bravo avvocato, nel giro di cinque, massimo sette anni, sarà già fuori;
pronto ad ammazzare qualcun altro!”
-
“ Non esageriamo!” – replicò la prima voce –
“L’hanno preso con il coltello in mano! Non so se realizzi?”
-
- “ E’ come se l’avessero preso con la Colt
fumante!” – lo appoggiò la seconda voce.
-
“ Sapete cosa vi dico?” – disse la terza voce
che non sembrava voler retrocedere; anzi, intendeva spingersi ancora più avanti
nella sua tesi. – “ Un bravo avvocato sarebbe perfino capace di farlo
assolvere!”
-
“ Boom!”- esplose una quarta voce che forse
apparteneva a un romano, o a un forestiero.
-
– “ Mo’ gli danno pure una medaglia a
‘st’assassino col coltello in mano!”
Grato che nessuno gli avesse chiesto un parere, il
commissario, dopo aver pagato, uscì e si accese una sigaretta.
Non c’era niente di più stressante che un processo sommario,
fatto fuori dalle aule di un tribunale, pensò il commissario avviandosi verso
la sede della Questura. Come certi programmi televisivi che andavano di moda,
infarciti di sedicenti esperti e improvvisati
criminologi, dove si ricostruivano i processi più eclatanti e recenti che, a
prescindere dalla loro evidente e oggettiva complessità, non sembravano
trattenere il pubblico da giudizi tanto
sommari e superficiali, quanto azzardati e fuori luogo.
Neanche il tempo di finire la
sigaretta e fu subito arrivato in Questura. L’edificio che la ospitava si
trovava proprio dietro il Palazzo di Giustizia, come se i redattori del Piano
urbanistico avessero voluto farne un presidio di protezione e retroguardia.
Il commissario spense la sigaretta sotto il piede prima di
imboccare la scalinata in travertino che portava all’interno della
Questura.
Il piantone lo accolse accennando un saluto militare.
Il suo ufficio era al primo piano, e le ampie finestre si
affacciavano proprio su uno degli ingressi secondari del Palazzo di Giustizia;
sulla sinistra era visibile anche l’ingresso delle ex scuole magistrali, che
adesso ospitavano il liceo socio-pedagogico, o qualcosa del genere.
Ripose i giornali in un cassetto della scrivania e si
accomodò nella sua poltrona.
Sei nuovi fascicoli
con altrettanti casi di omicidio, recenti e ancora da risolvere, lo aspettavano sul ripiano della scrivania: i
due fratelli trovati morti nelle campagne di Settimo San Pietro; la prostituta
strangolata sul litorale di Giorgino; un corpo privo di arti e mutilato dalla
voracità dei pesci restituito dal mare; il matricidio, probabilmente ad
opera di un tossico esasperato
dall’astinenza e dalla mancanza di soldi per acquietarla, che però si era
dileguato chissà dove e due ennesimi
femminicidi, probabilmente già chiusi: uno con il suicidio del marito
colpevole, l’altro con la costituzione dell’autore che si era autoaccusato
dell’omicidio.
Nella consueta riunione settimanale del venerdì, si era
deciso coi suoi collaboratori, l’ispettore Zuddas e il sovrintendente Farci, di
cominciare a svolgere delle indagini, raccogliendo un po’ di dichiarazioni a sommarie
informazioni e altre prove per ricomporre le vicende criminose in un quadro
investigativo coerente e comprensibile.
Prima del vertice con il Questore, a cui partecipavano tutti
i capi sezione, che si teneva a fine mattinata, ogni ultimo lunedì del mese,
aveva a disposizione un po’ di tempo per riprendere in mano tutti e sei i
fascicoli “caldi” (li definivano in questo modo, per distinguerli da quelli che
ormai avevano superato i sei mesi che la legge assegnava agli inquirenti per
svolgere le indagini; il termine ra prorogabile per altri sei mesi: dopo il
fascicolo si raffreddava, e inevitabilmente finiva in una sorta di limbo, con
buona pace della sete di giustizia delle povere vittime e anche dei
colpevoli).
Per ogni fascicolo prendeva degli appunti su dei fogli
protocollo a righe; quegli appunti
costituivano ad un tempo il punto di partenza e l’approdo, tra un venerdì e
l’altro, dello stato di svolgimento delle indagini; e si sarebbero arricchiti,
strada facendo, non solo delle sue riflessioni, ma degli apporti delle indagini
svolte sul campo dai suoi due più stretti collaboratori.
Tutto ciò, naturalmente, se non ci fossero state interruzioni
e contrattempi.
Dopo il vertice con il questore e gli altri capi sezione
prese la via del ritorno. Al pomeriggio si fermava nei giorni di martedì e
giovedì, quando aveva il cosiddetto “rientro”.
Dopo la sua consueta siesta, che seguiva sempre il pranzo,
almeno quando lo consumava in casa, come ogni
lunedì, si sarebbe recato a Iglesias,
a Casa Elvira, dove sua mamma aveva scelto di trascorrere la vecchiaia.
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