«Chissà dove teneva la chiave di quella cassaforte,
la povera signora Pirastu…» disse il commissario,
quasi tra sé e sé.
«Il mio assistito mi ha detto che la teneva
nel primo cassetto del comò, in camera da letto, tra la biancheria intima.»
«È uno dei primi posti dove ho cercato, ma non sono
riuscito a trovarla, né lì né altrove. Ma mi sa tanto che la settimana prossima
ci torno e cerco meglio» disse ancora il
commissario sempre con quel tono distante, come se parlasse per conto suo.
«Se vuoi ci torniamo insieme. E l’apriamo
con la chiave di Alessandro. Dammi soltanto il tempo di chiedergli di portamela
in studio al più presto possibile.»
«Davvero ne ha una copia il tuo assistito?
Caspita, questa sì che è una buona notizia! Mi evita un sacco di rogne di
autorizzazioni per chiamare un fabbro e per fare scardinare la cassaforte!»
«Il mio assistito godeva della massima
fiducia da parte della zia, al punto che la donna ultimamente aveva provveduto
a fargli una delega sul conto corrente bancario dove le accreditavano la
pensione e, spesso, lo incaricava di fare dei prelievi, per suo conto,
direttamente in banca oppure con la carta del bancomat.»
Intanto, mentre
parlavano, avevano lasciato la strada statale e si erano immessi in quella
provinciale per San Gavino. Da lì, arrivati a Guspini, non sarebbero stati
distanti da Gennas Serapis, altrimenti nota come Montevecchio, l’antico borgo
minerario, dove c’era una parte significativa delle radici più recenti di
Santiago De Candia.
E mentre procedevano
verso la loro meta, Luisa Levi apprese, senza quasi mai interromperlo, come il
nonno paterno del commissario, Nicola De Candia, giovane e brillante perito
minerario barese, assunto dalle Miniere di Montevecchio degli Eredi Sanna,
subito dopo la Grande Guerra si fosse insediato nel borgo minerario. E come,
poco tempo dopo, avesse conosciuto a Buggerru, dove si era recato per assistere
a uno spettacolo teatrale, una graziosa fanciulla, di nome Ines Orcel, che
scoprì essere la figlia di un suo collega francese che lavorava per la Societé
des mines de Malfidano, che a Buggerru aveva la sua sede operativa, e della
quale si era innamorato praticamente a prima vista. E in che modo riuscisse a
conquistarla, dopo serrata corte. Favorito in ciò da alcune conoscenze comuni
che gli consentirono di vincere la diffidenza che il padre di lei nutriva verso
i non francesi. E soprattutto aiutato dalla madre di lei, una donna spagnola
della Estremadura, che in quei paesaggi selvaggi della Sardegna e in quel
popolo chiuso e tenace, rivedeva probabilmente la sua terra d’origine e i suoi
stessi avi. In realtà, il nonno del commissario, Nicola De Candia, di sardo
aveva soltanto l’amore e la riconoscenza
verso la terra che lo aveva accolto, dandogli lavoro e rispettabilità.
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