Capitolo Quarto
Il sabato mattina, il commissario De Candia era solito recarsi al mercato di San Benedetto per acquistare pesce fresco. Era un’abitudine che aveva da quando era andato ad abitare in via Monteverdi con sua moglie. Vi si recava a piedi, percorrendo via Pergolesi e poi un tratto di via Cocco-Ortu, sino al più importante mercato cagliaritano di pesce, carne e generi alimentari al dettaglio.
Per non rinunciare alla sua consueta passeggiata decise che sarebbe arrivato sino a via Giudicessa Adelasia per il sopralluogo che si era ripromesso di fare nell’appartamento dove era avvenuto l’ultimo omicidio a lui assegnato dalla Procura. Da lì, risalendo su via Baccaredda, si sarebbe facilmente ricongiunto al mercato di San Benedetto, dove si vendeva il pesce più fresco e più vario del capoluogo regionale sardo.
Il sopralluogo gli aveva fatto balenare alcuni spunti, sicuramente utili per le indagini sull’omicidio della povera Emma Pirastu. Come d’abitudine aveva redatto un pro-memoria su un foglietto volante. Più che altro delle annotazioni con dei punti esclamativi oppure interrogativi, a seconda che fossero dei punti fermi, oppure rappresentassero dei dubbi, o magari entrambe le interpunzioni qualora non fosse ancora convinto della loro natura. Tutto materiale grezzo che avrebbe dovuto rielaborare nell’intimità del suo ufficio, dopo averci pensato e riflettuto per un po’ di tempo. Camminava assorto e ripensava ai punti cruciali di quello strano omicidio, cercando di ricomporre mentalmente un mosaico ancora confuso, e stava quasi per andare a sbattere contro l’ultima persona che mai avrebbe immaginato di incontrare quella mattina. Anche perché quella voce conosciuta lo richiamò alla realtà in maniera formale e giocosa nello stesso tempo.
«Commissario De Candia? Come mai da queste parti?»
L’avvocato Luisa Levi lo guardava, nel suo elegante tailleur in tinta unita, quasi canzonandolo, forse per mascherare la stessa emozione che in quel momento l’aveva pervasa all’improvviso.
«Luisa! Sei proprio tu?» riuscì appena a dire il commissario.
«Certamente. Non mi riconosci? Sono cambiata così tanto, in così poco tempo? Cosa fai da queste parti?» disse quasi a raffica il brillante avvocato. I due si guardarono negli occhi per un lungo, interminabile istante. Il commissario non la ricordava così tanto alta da poterlo quasi guardare diritto all’altezza degli occhi. Forse indossava dei tacchi. O magari era lui che credeva di essere più alto del suo modesto metro e settanta.
Lo sbirro che era in lui lo aiutò a vincere l’emozione e a riacquistare il suo sangue freddo.
«Sono qui per motivi professionali» rispose senza sbilanciarsi.
«Davvero?» chiese ancora l’avvocato squadrandolo sospettosa. «Oggi però è sabato, non dovresti essere al mercato di San Benedetto?» aggiunse ben conoscendo le abitudini del commissario.
«Infatti mi stavo recando proprio lì quando mi sono sentito chiamare. Tu piuttosto? Chi non muore si rivede.» Non voleva sicuramente essere un rimprovero, anche se la donna sembrò interpretarlo come tale.
«Hai ragione. Penso di doverti delle spiegazioni» disse cambiando tono e atteggiamento.
«No, nessuna spiegazione, davvero» si schermì il commissario. «Il piacere di averti incontrato è così grande che non vorrei sciuparlo con delle spiegazioni!» le disse con trasporto Santiago De Candia. Con quella donna, su un piano strettamente personale, non voleva indossare alcuna maschera di finzione.
L’avvocato sembrò colpita da quelle parole. Al commissario parve quasi che arrossisse.
«Sai che mi sono trasferita qui, in via Giudice Torbeno?» disse indicando una qualche direzione davanti a lei. «Non lo sapevi?»
«Ma di casa o lo studio?» chiese il commissario.
«Tutti e due insieme! È una casa grande che ho fatto ristrutturare. Avevo vissuto lì da ragazza. Gli inquilini sono andati via e ne ho approfittato per unire casa e lavoro, così da non dover fare la spola tra casa e ufficio.»
«Certo, certo, hai fatto bene. Ma non stiamo qui, abbiamo tanto cose da dirci. Non c’è un bar qua vicino?»
«Senti adesso ho da fare. Mio figlio parte in gita scolastica e se non metto mano io alla sua valigia, finirà per dover partire senza bagaglio. Perché non ci vediamo stasera, o magari domani?»
Santiago De Candia si ricordava bene di Stefano, il figlio di Luisa, anche se non lo aveva mai visto. Quando lui e la donna si erano conosciuti, un anno prima, il ragazzo era poco più che quattordicenne e frequentava il liceo classico Dettori, la stessa scuola che lui aveva frequentato tanti anni prima. Luisa gli aveva raccontato che il ragazzo la riteneva responsabile della separazione dal padre, avvenuta quando lui aveva iniziato appena a frequentare le scuole elementari. Il contrasto del ragazzo nei confronti della madre era forte. Luisa gli aveva spiegato che suo figlio, a causa del suo carattere introverso e problematico, non avrebbe mai accettato neppure di sapere che a fianco della madre ci fosse un altro uomo, figuriamoci poi conoscerlo e frequentarlo! De Candia, rimasto vedovo senza figli, in cuor suo si era perfino mostrato contento e disponibile a far da padre al ragazzo, che probabilmente, secondo il commissario, era semplicemente un adolescente alla ricerca di se stesso, come tutti quelli della sua età! Con l’aggravante di un carattere ipersensibile e introverso.
Dopo una breve pausa, l’uomo guardò la donna negli occhi.
«Ti piacerebbe fare una gita domani?».
«Una gita? Che tipo di gita?».
«Ho programmato di recarmi al parco Geominerario di Montevecchio» aggiunse speranzoso il commissario.
«Al Parco Geominerario? E come mai?» chiese l’avvocato, con quel suo fare guardingo, che usava forse per guadagnare tempo.
«Non ti ho mai detto che le mie radici, almeno in parte, sono proprio in quella zona?»
«No, questo mi mancava. Allora accetto! A patto che mi racconti bene questa storia delle radici!» disse con quel suo sorriso affascinante che a lui era piaciuto sin dalla prima volta che l’aveva conosciuta.
«Contaci. Dimmi il numero civico che passo a prenderti! Alle nove e mezza è troppo presto per una domenica?»
«No, va benissimo. Suona il campanello dell’abitazione che sta allo stesso numero civico dello studio» disse porgendogli un bigliettino.
«Grazie. A domani» confermò il commissario mettendolo in tasca.
«A domani, allora.»
«Ah! Volevo dirti che quando ci siamo incontrati venivo da un sopralluogo che ho fatto in via Giudicessa Adelasia» aggiunse subito il commissario prima di accommiatarsi.
«Non mi dire che la Procura ti ha fatto la delega per le indagini?» disse l’avvocato illuminandosi in viso.
«Sì, proprio così! Ancora una volta saremo su fronti contrapposti!» annuì l’uomo.
«Tu credi?» proruppe l’avvocato con grinta. «Guarda che invece potrei affiancare proprio la Procura in Corte d’Assise come parte civile! Il mio assistito è parte lesa in questa storia!»
Questa donna è un avvocato nel fondo dell’anima, pensò il commissario con ammirazione.
«Lo dici per non farmi chiudere nel segreto professionale!» disse invece un po’ per scherzo e un po’ perché lo sbirro che c’era in lui lo portava a sospettare anche quando si trovava davanti una persona che stimava. E ancor più se per questa persona provava qualcosa in più di una pur sincera stima.
«No, affatto!» disse lei ammorbidendo i toni. «E te lo dimostrerò domani stesso!»
«Va bene! A domani alle nove e mezza!»
Guardandola allontanarsi a Santiago venne in mente una frase che suo padre ripeteva spesso. «Ringraziamo il Padreterno per aver creato le donne. Guai se non ci fossero. Ma visto che c’era, perché non le ha fatte meno complicate?»
Il suo vecchio, veramente, al posto di complicate usava un’altra e più colorita espressione. Ma non gli andava di riferirla a quella donna che aveva casualmente ritrovato. E si rese conto che non aveva pensieri così piacevoli da tanto tempo.
E la notte, il sonno, giunse più lieto e più soave che mai.
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