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Capitolo
Terzo
Anche quel venerdì il team della Squadra Omicidi si
ritrovò nell’Ufficio del coordinatore, il commissario Santiago De Candia. Il
gruppo ristretto era composto dallo stesso commissario, dall’ispettore Angelo
Zuddas e dal sovrintendente Alessio Farci.
I tre dovevano fare il punto della situazione su tutti
i casi di omicidio che avevano in carico.
Il commissario lasciò per ultimo il caso dell’omicidio
di via Giudicessa Adelasia, come lo avevano ribattezzato anche i giornali, dopo
la scarcerazione del presunto colpevole.
«Come vi ho già accennato nel corso della
settimana, ho provveduto a ritirare il fascicolo in procura. Studiandolo, nei
giorni scorsi, vi ho intravvisto due piste, ma naturalmente restiamo aperti a
recepirne eventualmente altre qualora dovessero emergere nel corso delle
indagini. In via preliminare, se siete d’accordo, lascerei cadere la pista
seguita dalla Procura nell’immediatezza del fatto. Mi riferisco alla pista
dell’assassino con il coltello in mano.»
Il commissario fece una
pausa per dar modo ai suoi collaboratori di intervenire.
«Ci mancherebbe altro che ci facessimo
trascinare nelle regioni paludose dove si sono impantanati quelli là!»
disse il sovrintendente Farci con un cenno di stizza rivolto verso il Palazzo, al
di là della finestra.
«Ma lo hanno davvero scagionato l’assassino
con il coltello in mano?» si interpose l’ispettore
Zuddas.
«Sì, certo. È spiegato tutto nel ricorso
dell’avvocato difensore e nell’ordinanza di accoglimento del tribunale della
libertà!» rispose
il Santiago De Candia con enfasi, porgendo i due documenti al sottoposto, dopo
averli estratti dal fascicolo.
«Ci mancherebbe commissario! Riassuma lei
per noi, se vuole!» si schermì l’ispettore.
«In pratica l’avvocato difensore
dell’indiziato è riuscito a dimostrare che quando è partita la telefonata della
vicina di casa al 112, il suo cliente non poteva essere sul luogo del delitto!»
«E come ha fatto?»
chiese il sovrintendente Farci incuriosito.
«Mettendo a confronto i tabulati telefonici
e i documenti di viaggio, ha messo in evidenza come il suo cliente abbia
obliterato il trasbordo, dal bus n. 1 a quello della linea M, esattamente
dieci minuti prima che partisse la telefonata che ha allertato la Polizia
Giudiziaria in servizio.
I piani di viaggio hanno mostrato che da piazza
Gramsci, luogo del trasbordo dell’indiziato, alla fermata di via Baccaredda più
vicina alla casa della vittima, ci vogliono almeno dieci minuti, senza
considerare il probabile traffico e le fermate intermedie, altrimenti i minuti
diventano quindici. Poi si deve percorrere a piedi il tratto di strada che
dalla fermata del pullman porta alla casa di via Giudicessa Adelasia.»
«Accidenti, l’alibi dell’indiziato si gioca
comunque sul filo dei minuti!» esclamò il
sovrintendente Farci.
«Ma chi lo dice che il momento della
chiamata di intervento della vicina coincida esattamente con la morte della
vittima? Non potrebbe essere che la signora abbia urlato ben prima di essere
uccisa e la colluttazione si sia protratta per diversi minuti?»
suggerì l’ispettore Zuddas, che per carattere tendeva sempre a fare l’avvocato
del diavolo.
«D’accordo,
ma questa colluttazione con chi sarebbe avvenuta? Non con l’indiziato, che non
avrebbe comunque potuto trovarsi, a quell’ora,
a casa della vittima. A meno che tu non voglia ipotizzare che avesse un complice che ha lottato con la
vittima sino all’arrivo sul luogo del delitto dell’indiziato!»
rispose il commissario, il cui scrupolo investigativo sapeva spingersi oltre
ogni limite.
«Ma
di questo fantomatico complice non c’è traccia nei verbali, giusto commissario?»
intervenne il Farci che era il più concreto dei tre componenti dell’affiatato
team della sezione omicidi.
«Certo
che no!»
confermò Santiago De Candia. «Nel fascicolo ci sono le
chiavi dell’appartamento dove è avvenuto l’omicidio. Avevo già in mente di
farci un sopralluogo domattina. Mi riprometto di verificare tutto, senza
tralasciare niente.»
«Ma
la storia del coltello in mano è stata un’invenzione dei giornali?»
chiese ancora con curiosità il Farci.
«Io
credo che sia stata una sfortunata coincidenza, come scrive l’avvocato
difensore nel ricorso. In pratica l’arrivo della pattuglia della polizia
giudiziaria è stata quasi contemporanea all’arrivo del nipote, il quale
entrando con le sue chiavi ha trovato il coltello insanguinato per terra.
Ingenuamente lo ha raccolto e si è messo a cercare la zia, trovandola poi in
cucina, praticamente già morta. E così l’hanno trovato i Carabinieri, inebetito
e tremante. In una mano stringeva ancora il coltello, mentre nell’altra aveva
una busta con dei generi alimentari che gli aveva chiesto la zia il giorno
prima»
rispose il commissario.
«Decipit
frons prima multos!» sentenziò l’ispettore
riacquistando la sua consueta sicurezza e quasi pentendosi della sua ipotesi dell’esistenza
di un complice.
«C’è un’altra cosa che dobbiamo
considerare, prima di escludere ovvero prendere in considerazione l’eventualità
della presenza di un complice» si affrettò a dire il
commissario per scongiurare le proteste del sovrintendente, che sbuffava regolarmente
a ogni frase in latino del loro collega. «Secondo
il medico che ha effettuato l’autopsia l’assassino ha sferrato tre colpi, dal
basso verso l’alto. E i fendenti sono stati inferti da un destrimane, mentre
l’indiziato, come precisa il verbale, impugnava il coltello nella sinistra e,
per giunta, è anche mancino.»
«Beh, questo non esclude la presenza di un
complice. Anzi, sembrerebbe confermarlo…» disse
ancora l’ispettore, ma meno convinto di prima.
«Certamente. Ma a questo punto, perché non
pensare che il vero assassino abbia agito indipendentemente dall’indiziato?
Comunque domani, senza trascurare neppure questa pista, voglio verificare da
dove possa essere entrata questa terza persona, la cui presenza sembra farsi
strada sempre più a rigor di logica. Anche alla luce del fatto che l’indagato
ha dichiarato di essere entrato con le chiavi. Quindi, o il vero assassino si è
infilato dall’esterno, oppure la porta gli è stata aperta dalla stessa vittima.»
«In effetti ci sono diversi punti oscuri.
La vittima conosceva l’assassino? Io propenderei per il sì. Chi si fiderebbe
oggi ad aprire a uno sconosciuto?»
puntualizzò l’ispettore.
«Purtroppo sappiamo per esperienza che
molti anziani lo fanno. Per leggerezza o perché vengono ingannati. Ovviamente,
dopo il sopralluogo, saremo in grado di valutare meglio le diverse ipotesi.»
«Vuole che veniamo con lei, commissario?»
si offrì il sovrintendente.
«No,
grazie, state con le vostre famiglie. Domani è sabato. Se avrò dei dubbi in
proposito ci faremo un salto insieme la settimana prossima»
disse il commissario con un tono da cui traspariva il suo apprezzamento per
l’offerta generosa.
«E le altre due piste quali sono?»
chiese l’ispettore Zuddas, contento che le sue osservazioni, apparentemente
assurde e fuori luogo, avessero invece colpito l’immaginazione di un
investigatore del calibro del commissario.
«Una è quella di un furto finito in
tragedia. Il ladro, scoperto con le mani nel sacco, ha perso la testa e ha
ucciso la vittima che si è messa a urlare appena l’ha visto!»
«Oppure appena ha visto l’assassino
afferrare il coltello» aggiunse l’ispettore.
«Già!»
assentì il commissario. «Poi è scappato buttando
il coltello per terra. E lì lo ha trovato lo sfortunato nipote sopraggiunto
poco dopo.»
«Uno di noi potrebbe verificare se qualche
nostro informatore, nell’ambiente dei topi d’appartamento, abbia sentito
qualcosa. Di solito queste informazioni circolano nell’ambiente…»
propose il sovrintendente Farci.
«Quella zona è appannaggio della banda del
buco, quella capeggiata dai famigerati fratelli Chiodi, i fratelli Tore e Beppe
Cannas, mi pare di ricordare» suggerì l’ispettore
Zuddas, che in passato aveva prestato servizio nella sezione dei reati contro
il patrimonio, prima di essere aggregato alla squadra omicidi.
«L’altra pista sulla quale concentrerei le
nostre indagini è quella dell’interesse. Chi ha tratto vantaggio dalla morte
della signora Emma Pirastu? Ci sono altri parenti o beneficiari testamentari,
oltre all’attuale indiziato?»
«Cui prodest scelus, is fecit»
esclamò l’ispettore illuminandosi, contento di poter sfoggiare un altro dei
suoi adagi latini.
«Proviamo a verificare l’esistenza di altri
parenti o comunque di eventuali interessati diretti»
«Lascerei questa indagine al collega
Zuddas, signor commissario e io mi occuperei dell’indagine nel mondo dei topi
di appartamento e dei ladruncoli. In certi ambienti della malavita cagliaritana
non apprezzano molto quelli che parlano in latino!»
propose il sovrintendente Farci in segno di protesta contro l’ennesimo sfoggio di
cultura latina dell’ispettore.
«D’accordo. E per dimostrarvi che non mi
sono offeso vi offro l’aperitivo!»
disse l’ispettore.
«Sì, ma questa volta pago io! Del resto
l’ultima volta mi sembra che hai pagato tu!»
rispose il sovrintendente, tanto per protestare.
«Facciamo che oggi pago io!» propose
Santiago De Candia per tagliare la testa
al toro.
«Fra i due litiganti il terzo gode!»
aggiunse sorridendo il sovrintendente, contento che il commissario, per una
volta, si unisse a loro anche nella consueta capatina al bar, con cui ponevano
fine alle loro schermaglie.
«E io cosa ho detto? Inter duos litigantes,
tertius gaudet!» esclamò l’ispettore in
tono provocatorio!
«Ma vaffancupola!»
lo contestò il sovrintendente spingendolo con una manata, mentre quell’altro
rideva a crepapelle.
Anche il commissario rise, ma sotto i baffi, senza
farsene accorgere.
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