Capitolo
Quinto
Alle nove e mezza in
punto il fuoristrada del commissario De Candia si fermò in via Torbeno,
all’altezza corrispondente al numero civico che figurava nel bigliettino che la
sua amica gli aveva dato il giorno prima. L’avvocato Levi comparve subito
davanti all’ingresso. Indossava dei pantaloni neri e un comodo giubbotto in
pelle ben sagomato, chiuso in alto da un foulard dai colori vivaci. Ai piedi
calzava scarpe con il tacco basso. Una capiente borsa e un capello a larghe
falde completavano il suo abbigliamento. Santiago la vide più che mai
affascinante, ma si limitò a un saluto affettuoso e compassato.
Quando furono sulla
strada statale 131, la storica arteria che ancora collega Cagliari e Sassari,
denominata Carlo Felice, in onore del monarca sabaudo che per primo volle
collegare le due principali città del suo regno, Luisa Levi, dopo i convenevoli
di rito, chiese come fosse andato il sopralluogo del giorno prima in via
Giudicessa Adelasia.
Il commissario Santiago
ci aveva pensato prima di addormentarsi e ne approfittò per esprimere a voce
alta alcuni dei dubbi che gli erano sorti. Di solito non parlava mai con
nessuno, al di fuori della Questura, delle indagini che erano in corso. Al
riguardo la sua riservatezza era pressoché totale. Ma con l’avvocato era
diverso. In qualche modo le ricordava sua moglie. Aveva imparato a fidarsi di
lei e in nessun modo sentiva di venir meno al suo dovere di mantenere il dovuto
riserbo professionale. Anzi, il suo istinto di sbirro lo induceva a ritenere
che un confronto con quella donna potesse essere utile allo sviluppo delle sue
indagini.
«Mi
chiedevo da dove possa essere entrato l’assassino»
disse affrontando uno dei dilemmi che lo avevano tenuto occupato la sera
precedente, prima di addormentarsi. «A
parte la possibilità che sia stata la vittima ad aprirgli la porta per
ingenuità o per conoscenza del suo assassino, non so proprio che dire.
Ispezionando la casa ho pensato che una via di accesso clandestino possa essere
stato dalla mansarda. Infatti, lì ci sono due lucernari, con apertura a
ribalta. Entrambi li ho trovati aperti. Ma mentre uno era fissato con
l’apertura per la ventilazione, che consiste nell’appoggio del telaio a una
levetta a scomparsa, estraibile ad angolo retto per il fissaggio, l’altra era
semplicemente appoggiata al telaio, come se qualcuno l’avesse aperta per
entrare, o magari anche per uscire, e non l’avesse risistemata. E questo secondo
lucernario, per combinazione, è proprio quello che consente l’immissione nei
tetti circostanti, mentre l’altro guarda nel vuoto, esattamente dalla parte
opposta!
«Mmm»
fece l’avvocato riflettendo. «Io purtroppo non ho
potuto ispezionare la casa, che come tu sai bene è ancora sotto sequestro. Però
il mio assistito, quando ho affrontato lo stesso problema con lui, mi ha
descritto questa mansarda, confermandomi che su incarico della zia, era stato
lui, all’inizio della primavera, ad aprire in modalità ventilazione i due
lucernari, altrimenti chiusi durante la stagione delle piogge. Io purtroppo non
ho avuto neppure l’accesso agli atti di indagine, ancora secretati, ma mi
chiedevo se i Carabinieri che hanno proceduto all’arresto abbiano fatto un
sopralluogo nella casa prima di mettere i sigilli»
«Purtroppo
dai verbali non risulta alcun sopralluogo ai locali della mansarda!»
«Eh
già!»
interloquì l’avvocato in maniera polemica. «Erano
talmente sicuri di aver chiuso il caso che non hanno pensato altro che ad arrestare
il povero nipote della signora Emma e a farsi intervistare e fotografare a
destra e a manca!»
Il commissario sorrise,
pensando che questa battuta sarebbe piaciuta molto a uno dei suoi
collaboratori, che non perdeva occasione per criticare l’ossessione mediatica e
la superficialità di certi settori della polizia giudiziaria.
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