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lunedì 4 ottobre 2021

Contro la cultura del sospetto



 Quando insegnavo, tantissimi studenti, nelle diverse occasioni, mi chiedevano come potesse un avvocato avere la forza di difendere una persona colpevole di reati gravissimi. "Come si fa a difendere un assassino?" Qualcuno addirittura si spingeva oltre e mi chiedeva: "Ma a cosa serve sprecare dei soldi un un processo, se uno è colpevole? Non è meglio punirlo subito?" In realtà tali domande non sono corrette. La domanda corretta sarebbe stata questa: "Ma quando è che un imputato può dirsi veramente colpevole?" Eccola la domanda corretta!

Purtroppo anche molti dei miei studenti erano vittime della cultura del sospetto che regna indisturbata in Italia, con la complicità, più o meno inconscia, dei mass media. Per l'opinione pubblica italiana è sufficiente la verità unilaterale della Procura; una ricostruzione necessariamente parziale, spesso preceduta da un teorema di colpevolezza che, diffuso sui giornali e dalle televisioni, ha un effetto dirompente. Io cercavo di contrastatre questa cultura del sospetto. Inventavo per i miei studenti delle situazioni in cui un imputato apparisse colpevole, ma in realtà, alla luce delle prove raccolte nel dibattimento, ridsultava poi essere del tutto innocente. I diversi casi, per i quali ho attinto alla mia frequentazione delle aule di giustizia, vengono ora pubblicati dalla casa editrice "Dei Merangoli" sotto forma di romanzi gialli che hanno come protagonisti un commissario di polizia e un'affascinante avvocarto in gonnella. Il primo episodio si intitola "Al di là delle evidenti apparenze" ed è disponibile in tutte le piattaforme on line e in tutte le librerie italiane grazie alla distribuzione nazionale.

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