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Capitolo Tredicesimo
Il
lunedì successivo, verso le undici, il centralinista passò una telefonata al
commissario De Candia. Una signora aveva
chiamato per parlare con qualcuno della sezione omicidi.
«Chi
parla?»
chiese il commissario in tono gentile.
«Sono
Maria Grazia Picciau» disse una voce che
mostrava una certa emozione «Si ricorda? Ci siamo
incontrati mercoledì scorso!»
«No.
Credo che lei abbia incontrato uno dei
miei collaboratori, l’ispettore Zuddas. Io sono il commissario De Candia»
«Ah, sì, mi pare che si sia presentato
proprio con quel nome…» la voce si arrestò di
colpo, come se fosse stata in punto di dire qualcosa di imbarazzante.
«Lei è la nipote di Emma Pirastu, se non
sbaglio»
disse il commissario cercando di mostrarsi
affidabile e informato sui fatti.
«Sì, certo. Il suo collaboratore mi aveva chiesto notizie di mio fratello
Andrea…»
aggiunse ancora la voce. Sembrava esitante; il commissario si sentì prudere il
naso; aveva stabilito che questo gli succedeva sempre quando nell’aria c’era qualcosa
di importante, nel bene o nel male. Il commissario attese ancora un po’ al
telefono, poi chiese:
«Ha avuto notizie di suo fratello?»
Cercò di modulare la voce su toni di paziente attesa.
«No, sono molto preoccupata. Venerdì
pomeriggio sono andato a prenderlo in comunità, come sempre, e ho scoperto che
si era assentato da un paio di giorni. Ma nessuno mi ha detto niente. Il
direttore mi ha detto che un funzionario della questura di Cagliari era stato da lui lo stesso giorno di
mercoledì, ma a me era sembrato che non sapesse niente dell’assenza di mio
fratello. Ho pensato che forse non si era trattato dello stesso funzionario»
Il commissario capì che stava parlando con una persona
attenta e sensibile, probabilmente in preda a qualche sentimento di contraddizione,
come se fosse combattuta. Cercò di procedere con metodo. Per esperienza sapeva
che in certe situazioni le persone tendevano a chiudersi o ad aprirsi a seconda
di come l’interlocutore agiva sul loro stato d’animo.
«A
volte noi poliziotti, per rispetto del protocollo che ci impone la
riservatezza, tendiamo a non dire ciò che sappiamo…»
«Ma
qui si tratta di mio fratello. E’ scomparso e io l’ho saputo soltanto perché
sono andata a prenderlo in comunità!»
Adesso il commissario sentì tutta l’angoscia, frammista
a una buona dose di risentimento, nella voce della donna.
«Ha ragione, signorina. Lei aveva il
diritto di sapere. Sappia però che noi della Polizia, e io in prima persona,
siamo sempre dalla parte dei familiari, soprattutto in caso di persone scomparse.
La nostra azione a volte abbisogna della collaborazione dei parenti…se lei sa
qualcosa è nell’interesse di suo fratello che io ne venga a conoscenza!»
Il discorso sembrò sbloccare la voce all’altro capo
del telefono
«Questo fine settimana l’ho passato in giro
per la città, presso amici e conoscenti, a chiedere informazioni su Andrea,
senza ottenere alcun risultato. Ieri sera, nella speranza di trovare qualcosa
che mi aiutasse a ritrovarlo, mi sono messa a frugare nella stanza che occupa nei fine settimana quando
viene a stare da me…»
Il naso del commissario prese a prudere più forte. La
voce smise di parlare. Il commissario sentì il respiro affannoso nella
cornetta.
«Ha trovato qualcosa che possa aiutare
anche noi nelle ricerche?» cercò di incoraggiarla
il commissario.
«Non
vorrei che quello che ho trovato si ritorca a suo danno…»
«Signorina,
al punto in cui siamo, con suo fratello che è scomparso nel nulla, il posto più
sicuro per lui sarebbe proprio qui, con noi della Polizia. A fianco alla legge non
si sbaglia mai…»
Al
commissario sembrò di sentire la voce singhiozzare. Ma fu soltanto un attimo.
«Ho trovato una busta, in un’intercapedine
di un vecchio armadio che usavamo come nascondiglio segreto nei nostri giochi di
bambini…»
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