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«Verificherò il vostro alibi e se verrà
confermato, come penso che avverrà, a maggior ragione lei non ha niente da
temere!. Possiamo andare avanti nell’interrogatorio?»
disse ancora il sovrintendente rivolto a sa Mantininca che, recuperato coraggio e sangue freddo grazie
all’intervento del cognato, aveva ripreso a scartavetrare la carrozzeria
dell’auto che aveva per le mani.
«Io di omicidi non ho mai saputo niente e
non so nulla neanche di questo qui.»
«Però dalla casa della vittima sono spariti
soldi e gioielli. Quindi abbiamo ragione di pensare che l’omicidio sia
scaturito da un furto».
«E cosa c’entro io?»
«Be’, visto che l’omicidio e il furto
sono stati commessi nella quartiere dei
Giudicati, e dato che i colleghi ci hanno detto che quella è la sua zona di
competenza, ci chiedevamo, alla Omicidi, se per caso lei si era fatto un’idea
di chi possa essere stato. Qui si tratta di un omicidio e non di un semplice
furto»,
aggiunse
Alessio Farci bilanciando il suo peso in modo da alleviare la morsa delle
scarpe che gli stringevano i piedi.
Mantininca era lusingato di essere considerato dalla
Questura un piccolo boss, con un suo
territorio di competenza. Inoltre adesso
anche in Questura si erano resi conto che un concorrente aveva sconfinato
nel suo pascolo; e questo fatto però non gli era piaciuto affatto; anzi, gli
aveva dato proprio fastidio sin da
quando aveva appreso la notizia dall’Opignone. Non era stato uno della sua
banda, questo era certo; lo si sarebbe saputo; nell’ambiente della mala certe
cose si vengono a sapere. Ma lui certe cose alla “Giusta” non poteva e non
voleva dirle. Disse la prima cosa che gli venne in mente.
«Io ormai sono fuori dal giro, ma ai miei
tempi, una cricca di sassaresi sconfinava ogni tanto qui in Casteddu. E quelli
quando si muovono, fanno sempre cazzate!»
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