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L’ispettore Zuddas era ormai di casa al commissariato
di Carbonia. Aveva ritrovato un suo vecchio collega di corso, anche lui
ispettore in attesa della promozione a
vicecommissario e da lui aveva attinto preziose informazioni utili alla sua
indagine sul delitto di via Giudicessa Adelasia.
Dal suo collega aveva saputo che Andrea Picciau era
una specie di dandy, un po’ donnaiolo e un po’ eccessivo nei suoi vizi, che amava
il bel vivere. Finché erano rimasti in vita i genitori, era riuscito a fare la
bella vita, senza lavorare mai troppo seriamente. Poi era caduto nel vortice
della droga, roba pesante, prima cocaina e poi eroina, non la solita fumatina o
il semplice spinello. Per mantenersi nel consumo di quel vizio costoso, era
finito nel giro dello spaccio, il traffico di alto livello, quello che muove i
chili dalla Thailandia, per intenderci. Ma per la sua abilità, o per fortuna, o
magari perché era riuscito a far ricadere le colpe sugli altri, se l’era cavata
alla grande; anziché finire in carcere, era stato inserito in una comunità di
recupero, poco fuori Carbonia e lì, seguito dappresso dai servizi sociali e,
più discretamente da loro, sembrava essersi rassegnato a una vita più normale,
fatta di sangue, sudore e lacrime.
La Comunità di recupero si chiamava ‘Sa Genti Arrubia’
e l’avrebbe trovata lungo la statale per San Giovanni Suergiu, seguendo le
opportune indicazioni. La sorella di Andrea, Maria Grazia, lavorava al comune
di Villamassargia ma rientrava regolarmente a casa sua, in via Palmiro
Togliatti, ogni pomeriggio, talvolta
alle 15,00, talaltra più tardi. L’indirizzo e il telefono erano segnati sul
foglietto.
Dopo un caffè di ringraziamento e un excursus necessariamente sommario dei trascorsi goliardici del corso, frequentato insieme, alla scuola di formazione per ispettori di Nettuno, l’ispettore Zuddas, tutto soddisfatto di come avessero preso una piega fortunata le sue indagini in trasferta, si avviò verso la comunità di recupero che gli avevano indicato i suoi colleghi. Nel tragitto si ritrovò a pensare alle serate spensierate che aveva trascorso a Nettuno durante la libera uscita dalla caserma e le domeniche in discoteca, alla conquista delle bellezze femminili cittadine. Un uomo dovrebbe restare sempre scapolo, pensò con un sorriso nostalgico. Di sicuro lui non si sarebbe mai sposato se non si fosse ritrovato con la ragazza incinta e un suocero che aveva fama di vendicare tutte le offese all’onore con una bella fucilata.
Arrivato al Centro di Recupero si accorse presto che la sua trasferta, in
fin dei conti, non sembrava così fortunata come gli era parsa poco tempo prima.
Andrea Picciau era introvabile. Il direttore del
Centro disse di averlo visto rientrare il lunedì mattina, molto presto,
accompagnato come sempre dalla sorella, che poi proseguiva in macchina per il
suo lavoro, ma di averne notato l’assenza
nella giornata successiva, che poi era ieri. Era la prima volta che si
allontanava senza avvisare; di norma andava in permesso il venerdì pomeriggio ed era sempre rientrato
dai permessi regolarmente il lunedì al mattino. Il loro protocollo prevedeva,
per i casi di affidamento come quello,
che per un’assenza inferiore alle ventiquattrore si allertassero i
servizi sociali (anche se spettava a loro monitorare i soggetti in affidamento)
e che questi, poi, avvisassero chi di
dovere. Lui aveva avvisato un assistente quella mattina, quando si era accorto
che il Picciau non aveva fatto rientro per la notte. Ma comunque le
ventiquattrore, tecnicamente, scadevano nella serata di oggi, che è mercoledì, per
l’appunto. Probabilmente le due cose non erano in connessione, ma aveva
scoperto che la comunità aveva subito un furto con scasso ed erano sparite
delle confezioni di Bartolion, un topicida custodito in magazzino e chiuso a
chiave; poteva approfittare della sua presenza per denunciare il furto? No, era
di competenza della questura di Carbonia oppure dei Carabinieri locali.
L’ispettore si fece dare i recapiti telefonici del
centro e degli assistenti sociali che avevano in carico il Picciau; poi
ringraziò e salutò.
Decise di andare a parlare con la sorella di Andrea
Picciau, Maria Grazia, che lavorava al comune di Villamassargia. Non gli andava
di aspettare sino alle 15,00, o ancora più tardi se quella avesse fatto il
rientro, e perciò si diresse con l’automobile
in quella direzione . Poco più di
mezz’ora dopo stava già parcheggiando in piazza municipio.
In Comune fu più fortunato. Maria Grazia Picciau non
aveva fatto ancora la sua pausa e si fece sostituire, dicendosi disponibile a
farsi una chiacchierata con l’ispettore che, con estrema discrezione ed
eleganza si era presentato in ufficio. La giornata era luminosa, grazie al sole
che splendeva in alto e riscaldava in basso. Non di meno, l’impiegata comunale
lo guidò in un locale nei pressi del municipio, ma scelse un tavolino
appartato, in fondo al locale.
Maria Grazia Picciau era una donna sui trentacinque
anni, piccola e rotondetta; portava degli occhiali da miope con le lenti
affumicate e vestiva in maniera decorosa ma poco vivace; emanava un non so che
di triste e sorrideva di rado, forse perché la sua dentatura presentava qualche
imperfezione.’Omni gaudio, decoris iunctim’ pensò l’ispettore Zuddas, ma si
guardò bene da dirlo.
«Grazie per il suo tempo signorina Picciau.
Io mi sono qualificato come un funzionario del ministero degli interni e le ho
dato una mezza verità; l’altra mezza è che sono della squadra omicidi di
Cagliari e voleva sentirla a proposito di suo fratello Andrea»
disse l’ispettore una volta accomodati.
«E’ successo qualcosa di brutto a mio fratello?»
sussultò impallidendo la giovane impiegata.
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