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Il commissario voleva godersi ancora un po’ il suo
confortevole divano; si preparò un caffè, mise un disco della Carmen e dopo
aver recuperato il libretto che venti anni prima aveva acquistato al teatro in
occasione della regia che il grande Peter Brook aveva curato per quell’opera
all’anfiteatro romano, ormai chiuso agli spettacoli da anni, si dedicò alla
lettura del libretto. Gli serviva da ripasso, ma gli sarebbe stato utile
qualora la sua accompagnatrice si fosse voluta confrontare con lui su
quell’opera così densa di sentimento e di passione.
La sua accompagnatrice, all’indomani, si mostrò
alquanto preparata. Si era vestita con una
gonna plissettata color ocra, al ginocchio e un maglioncino nero, a
maniche corte, sui spiccava un filo di perle bianche. Una giacca in tinta con
la gonna e una pochette rossa, a tracolla,
abbinata nel colore alle scarpe
tacco dieci, completavano la sua mise
elegante.
Il commissario ebbe da ridire sulla regia, che aveva
ambientato la vicenda negli anni trenta del secolo ventesimo, invece di
adeguarsi all’ambientazione originale, che retrodatava a oltre un secolo
precedente. Luisa lodò come
apprezzabile lo sforzo registico,
definendolo un tentativo apprezzabile di svecchiare l’opera.
In pizzeria riuscirono a parlare della vicenda di via
Giudicessa Adelasia. L’avvocato Levi consegnò al commissario un elenco completo
e una descrizione dettagliata dei gioielli che erano custoditi nella
cassaforte, appartenuti alla povera signora Emma Pirastu. Quella donna non
smetteva mai di sorprenderlo per l’intelligenza e il fascino che riusciva a
dimostrare in eguale misura e in pari intensità. Lo informò inoltre che il suo
assistito era andato in Banca e aveva scoperto che era stati effettuati due
prelievi con il bancomat, in due giorni differenti: il giorno dell’omicidio e
il giorno dopo. Poi la banca, letta la notizia sul giornale aveva provveduto a
bloccare il conto corrente.
Alessandro Pirastu aveva precisato che, nonostante le sue raccomandazioni in senso contrario, sua zia si
ostinava ad avvolgere la tessera bancomat in un foglio di carta ove aveva trascritto il codice segreto (che lui invece ricordava a memoria). Quindi il ladro omicida aveva avuto gioco facile a fare i prelievi.
Per quanto
riguarda il libretto postale le cose erano un po’ più complicate. Era stato emesso dalle Poste Centrali di
Piazza del Carmine ma i prelievi, con appropriati documenti di identità, si potevano fare in
tutti gli uffici d’Italia, nel limite, pare, di seicento euro al mese. Col
libretto erano spariti anche la carta di identità della vittima. Il suo
assistito si sarebbe recato alle Poste per vedere di bloccare il libretto, pur
se non ne ricordava a memoria gli estremi. Ad ogni buon conto, lei, l’avvocato,
avrebbe provveduto a mandare una diffida alla sede legale di Torino per
bloccare comunque i prelievi da ogni titolo cartaceo, materiale o
immateriale, intestato alla defunta Emma
Pirastu.
Insomma per il commissario non era rimasto un granché
da fare, almeno con riguardo alla Banca e alle Poste.
Si salutarono in via Giudicessa Vera, una parallela
della via Torbeno e della stessa via Giudicessa Adelasia dove il commissario De
Candia aveva parcheggiato la sua auto.
Luisa gli diede un bacio fugace sulle labbra,
stringendosi a lui con trasporto e ringraziandolo ancora per le rose rosse e
per la serata trascorsa insieme.
Vedendola andar via, il commissario si chiese se
l’avesse potuta ancora stringere tra le braccia. Era la cosa che avrebbe voluto
di più, in assoluto.
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