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mercoledì 8 dicembre 2021

Il commissario e l'avvocato - 28

 

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Il commissario voleva godersi ancora un po’ il suo confortevole divano; si preparò un caffè, mise un disco della Carmen e dopo aver recuperato il libretto che venti anni prima aveva acquistato al teatro in occasione della regia che il grande Peter Brook aveva curato per quell’opera all’anfiteatro romano, ormai chiuso agli spettacoli da anni, si dedicò alla lettura del libretto. Gli serviva da ripasso, ma gli sarebbe stato utile qualora la sua accompagnatrice si fosse voluta confrontare con lui su quell’opera così densa di sentimento e di passione.

La sua accompagnatrice, all’indomani, si mostrò alquanto preparata. Si era vestita con una  gonna plissettata color ocra, al ginocchio e un maglioncino nero, a maniche corte, sui spiccava un filo di perle bianche. Una giacca in tinta con la gonna e una pochette rossa, a tracolla,  abbinata nel colore  alle scarpe tacco dieci,  completavano la sua mise elegante.

Il commissario ebbe da ridire sulla regia, che aveva ambientato la vicenda negli anni trenta del secolo ventesimo, invece di adeguarsi all’ambientazione originale, che retrodatava a oltre un secolo precedente. Luisa lodò come  apprezzabile  lo sforzo registico, definendolo un tentativo apprezzabile di svecchiare l’opera.

In pizzeria riuscirono a parlare della vicenda di via Giudicessa Adelasia. L’avvocato Levi consegnò al commissario un elenco completo e una descrizione dettagliata dei gioielli che erano custoditi nella cassaforte, appartenuti alla povera signora Emma Pirastu. Quella donna non smetteva mai di sorprenderlo per l’intelligenza e il fascino che riusciva a dimostrare in eguale misura e in pari intensità. Lo informò inoltre che il suo assistito era andato in Banca e aveva scoperto che era stati effettuati due prelievi con il bancomat, in due giorni differenti: il giorno dell’omicidio e il giorno dopo. Poi la banca, letta la notizia sul giornale aveva provveduto a bloccare il conto corrente.

Alessandro Pirastu aveva precisato che, nonostante le sue raccomandazioni in senso contrario, sua zia si



ostinava ad avvolgere la tessera bancomat in un foglio di carta ove aveva trascritto il codice segreto (che lui invece ricordava a memoria). Quindi il ladro omicida aveva avuto gioco facile a fare i prelievi.

 Per quanto riguarda il libretto postale le cose erano un po’ più complicate.  Era stato emesso dalle Poste Centrali di Piazza del Carmine ma i prelievi, con appropriati  documenti di identità, si potevano fare in tutti gli uffici d’Italia, nel limite, pare, di seicento euro al mese. Col libretto erano spariti anche la carta di identità della vittima. Il suo assistito si sarebbe recato alle Poste per vedere di bloccare il libretto, pur se non ne ricordava a memoria gli estremi. Ad ogni buon conto, lei, l’avvocato, avrebbe provveduto a mandare una diffida alla sede legale di Torino per bloccare comunque i prelievi da ogni titolo cartaceo, materiale o immateriale,  intestato alla defunta Emma Pirastu.

Insomma per il commissario non era rimasto un granché da fare, almeno con riguardo alla Banca e alle Poste.

Si salutarono in via Giudicessa Vera, una parallela della via Torbeno e della stessa via Giudicessa Adelasia dove il commissario De Candia aveva parcheggiato la sua auto.

Luisa gli diede un bacio fugace sulle labbra, stringendosi a lui con trasporto e ringraziandolo ancora per le rose rosse e per la serata trascorsa insieme.

Vedendola andar via, il commissario si chiese se l’avesse potuta ancora stringere tra le braccia. Era la cosa che avrebbe voluto di più,  in assoluto.

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