Capitolo primo
Anno scolastico 1987-1988
Anche a
distanza di oltre trent’anni, ricordo bene il mio primo anno scolastico da
insegnante.
Ero
fresco vincitore da concorso e avevo in mente le parole del presidente della
commissione che mi aveva abilitato: “ Voi vincitori del concorso a cattedre
dovete tenere alta la bandiera della scuola. Uno dei mali che affliggono la
scuola italiana, oggi, è costitutito dal precariato. Docenti precarizzati per
anni, se non per decenni, quando passano in ruolo, tirano i remi in barca e
smettono di lottare. E’ quasi una rivalsa inconscia e istintiva contro chi ti
ha trattato male.”
Con
queste parole di fuoco avvenne il mio
battesimo. Nient’altro. Feci sì, in quell’anno cruciale (si chiamava,
all’epoca, di straordinariato o per l’immissione in ruolo; adesso non saprei),
un corso di aggiornamento. Per la mia classe di concorso si tenne a Nuoro.
Niente di speciale; interessante, ma non focalizzato sull’insegnamento e suoi
metodi.
Aprresi
così in un colpo solo tre cose fondamentali della scuola italiana: primo, che
bisognava lottare; ma io sono stato sempre un lottatore nella mia vita. Sono il
sesto di undici figli, esattamente a metà; piccolo bersaglio per i più grandi
di me; punto di riferimento e ancora di salvezza per i più piccoli. Se non
lotti, in certe situazioni, soccombi. Tutta la vita, in fondo, è una lotta:
personale, fisica, sociale.
La
seconda è che lo Stato, della Costituzione e dei principii costituzionale era il
primo a fottersene: infatti, se per obbligo costituzionale i posti pubblici
sono assegnati per pubblico concorso, come mai la scuola veniva consegnata in
mano ai precari per decenni?
La terza
è che nessuno mi avrebbe mai insegnato a insegnare: l’università non lo aveva
fatto (e che io sappia, non lo fa tuttora); la scuola, intesa come datore di
lavoro, era ancor meno disponibile a
farlo ( e neanche adesso, da vecchio, ho avuto la fortuna di un ausilio in tal
senso).
Senza
pensarci troppo su e senza neanche perdermi d’animo, agii d’istinto e secondo
coscienza: ero stato assunto per insegnare diritto (nei suoi diversi e
molteplici rami), economia politica e scienza delle finanze; ebbene, intanto dovevo
sentirmi forte e preparato in quelle materie; per il resto, mi sarei regolato
strada facendo.
Mi
buttai così a capofitto nello studio delle materie. Una buona base me l’aveva
data l’Università di Cagliari; questa base l’avevo poi rafforzata per la preparazione
dell’esame: due scritti e gli orali in tutte le materie (in realtà molte più di
tre, considerando, oltre al diritto privato, commerciale e pubblico, anche il
diritto tributario, il diritto finanziario, la politica economica e la
contabilità pubblica).
Adesso
dovevo calibrare le mie conoscenze e calarle nelle realtà dell’insegnamento
quotidiano e concreto.
Questo
compito richiese un lavoro indefesso e disperato per i primi cinque anni (domeniche comprese) ma
alla fine ne venni a capo (nel senso che ero in grado di svolgere le lezioni
frontali richieste e di risolvere i dubbi proposti.
Per
quanto riguarda i metodi di insegnamento, il discorso era alquanto diverso.
Qui non
si tratta di scibile e di conoscenza; la
capacità di trasmettere quello che si sa (molto o poco che sia) ha a che fare
con elementi diversi dalla stessa intelligenza specialistica e dalla conoscenza
dei temi da insegnare.
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