last moon
sabato 31 ottobre 2020
I Thirsenoisin - 13
Le capanne occupate dai sacerdoti si estendevano tutt’attorno al pozzo sacro, come per proteggere il regno degli dei delle acque. Lì era stato sistemato il fido amico Elki. Chissà come aveva trascorso la notte, l’uomo che gli aveva salvato la vita. Sua moglie era certo che quel gesto di protezione era stato premeditato dal grande sacerdote. Non aveva saputo o voluto predisporre alcun’altra difesa contro quel parricidio annunciato; per paura che allertando le guardie coinvolte nel complotto, i traditori potessero essere messi sul chi vive e magari decidere una modalità più complessa per il loro sanguinario piano. Elki aveva valutato e voluto il vantaggio della sorpresa che i suoi dei gli avevano offerto; e l’aveva sfruttato, a rischio però della sua stessa vita. In cuor suo fu grato all’amico e al sacerdote che aveva rischiato la sua vita per lui. «Gli dei danno e gli dei prendono», pensò ancora. Per un uno che lo voleva morto, c’e n’era stato un altro che lo aveva salvato dalla morte. Solo che il primo era suo figlio! Quel pensiero sembrò afferrargli il cuore e strizzarlo sino ad espungervi tutto il sangue, in uno stillicidio infinito. Sarebbe mai guarito da quell’afflizione?
Ma adesso occorreva reagire! E subito! Ci sarebbe stato tempo per piangere, dopo! Adesso doveva stanare tutti i traditori che si celavano nel villaggio. Damasu non poteva aver agito da solo. Non era un pazzo. Gli venne in mente che in quel terribile istante, in cui lui lo aveva colto, subito dopo il gesto omicida, per una frazione di secondo suo figlio aveva indugiato con lo sguardo rivolto alla folla, come se si aspettasse un aiuto concreto, un sostegno, un intervento in suo favore. A chi aveva rivolto suo figlio Damasu quello sguardo che cercava soccorso? Evidentemente egli sapeva che in mezzo alla folla c’erano delle persone che stavano dalla sua parte; ma queste persone chi erano? E perché non erano intervenute in aiuto di Damasu? Cercò di sforzarsi di ricordare: lo sguardo di Damasu che cercava soccorso si era diretto alla sua sinistra, verso uno dei due ingressi del recinto sacro, quello settentrionale, da cui era rientrato, seguito da una moltitudine di persone. Oltre al suo seguito, tutti quelli che si erano accodati a lui, all’ingresso nel recinto; mentre gli altri, quelli alla sua destra li aveva trovati già schierati, quando si era diretto al sedile a lui riservato, nella serie ininterrotta che correva lungo la circonferenza del recinto, ricavata dal cornicione prospiciente in pietra. Troppo difficile, forse impossibile, battere la pista della memoria. Ci voleva qualcos’altro.
Sembrava che Manai lo aspettasse, quando giunse in prossimità del pozzo sacro.
«Come ha passato la notte il nobile Elki?» gli chiese subito il re dopo i convenevoli di rito.
«L’ho vegliato tutta la notte. Sono riuscito a cacciar via il demone del ferro che gli ha morso le carni: a forza di impacchi di acqua fresca del pozzo; poi gli ho indotto il sonno con un decotto a base di acacia, cardo, genziana e melissa. E gli sono stato al fianco tutto il tempo.»
«Ha parlato?», chiese ancora Itzoccar con un gesto di apprezzamento per le cure profuse.
«Solo frasi senza senso, prima che io gli levassi l’eccessivo calore dal corpo.»
«Ce la farà?» domandò poi osservando il suo amico sacerdote che dormiva con un viso disteso.
«Credo di sì. Gli dei sono con lui e ha un fisico ancora forte.»
«Intendo offrire due capretti agli dei dell’acqua per la sua guarigione. Poi ho bisogno di riunire il Gran Consiglio. Puoi presenziare al posto di Elki?»
«Sarà un onore per me presenziare, o re di Kolossoi! Mi farò sostituire al capezzale di Elki e verrò subito dopo il sacrificio.»
«Bene, disse Itzoccar! » avviandosi. «Ecco il servo di Rumisu che giunge a proposito! Ti aspetto nella sala delle udienze, subito dopo il sacrificio agli dei delle acque! Bada di non contraddirmi se dirò che Elki ha fatto dei nomi!»
«Non oserei mai fare una cosa del genere, mio re!» rispose Manai.
Anche se il potere religioso godeva di una certa indipendenza, il capo tribù Itzoccar era considerato al di sopra di tutti gli uomini del villaggio. Solo gli astri e gli dei potevano più di lui, sulla terra.
13. continua…
mercoledì 21 ottobre 2020
La Scuola oggi-5
Ricordo ancora la prima volta che esposi al mio preside il mio progetto di assentarmi dal lavoro per esigenze di aggiornamento.
” A sue spese può andare dove vuole” – mi rispose il vecchio preside – “purchè si faccia sostituire dai suoi colleghi per le ore di cattedra!”
Naturalmente rinunciai al mio viaggio di aggiornamento. Mi iscrissi all’Albo degli Avvocati (allora si chiamavano ancora procuratori legali). E’ nel foro che ho curato il mio aggiornamento in questi oltre tre decenni di insegnamento. Se avessi aspettato il governo, povero me!
Cosa ha fatto il governo per i suoi insegnanti, a parte chiamarli fannulloni?
Cosa hanno fatto quei nanetti, quelle ballerine, quei buffoni che si sono alternati nelle poltrone della Pubblica istruzione e della Funzione Pubblica?
Ve lo dico io, che cosa hanno fatto. Del resto è sotto gli occhi di tutti.
Ci hanno affamato, riducendo i nostri stipendi al più basso livello d’Europa; ci hanno additato alla pubblica opinione definendoci, oltre che come fannulloni, come pigri, incapaci, fruitori di vacanze trimestrali strapagate e perfino comunisti!
E la gente, avvolta nelle spire di un’informazione televisiva distorta e ammalata ci ha pure creduto!
Io non ho mai fatto politica a scuola! Magari ho discusso di politica, cercando di spiegare il significato dietro le sigle dei diversi partiti (quando ancora esistevano i vari P.C.I., D.C., P.S.I., ecc.) ma senza mai schierarmi da una parte o dall’altra!
Per anni ho difeso le Istituzioni (finché i politici sono stati difendibili), cercando di insegnare la capacità di distinguere, nell’agone politico, il grano dalla gramigna, i buoni politici dagli affaristi; gli onesti dai disonesti.
Poi la Casta mi ha travolto e non sono riuscito più a difendere nessuno dei politici (né a destra, né a sinistra, né al centro; o a quel che restava di loro).
E nel frattempo erano sorte le classi pollaio (un anno ho avuto una terza di 32 alunni, all’epoca della Gelmini), le scuole autonome, i Dirigenti Scolastici (al posto dei Presidi), i collaboratori più o meno ammanicati (al posto dei vice presidi eletti dal Collegio dei Docenti).
E oggi?
Oggi siamo ancora in prima linea, nonostante il COVID.
Ci siamo per senso del dovere, non perché siamo degli eroi.
Sì, perchè i docenti oggi rischiano la vita, sulla cattedra!
Spero che la gente ricominci a ragionare con la propria testa. E capisca che la scuola pubblica ha preparato quegli scienziati italiani che hanno dovuto emigrare all’estero e che si sono messi in mostra con le loro brillanti intuizioni.
Quegli scienziati sono passati per i nostri banchi di scuola!
Non ostante i politici la nostra scuola ha continuato a sfornare guiovani brillanti, dalle scuole elementari sino all’Università!
5. continua…
martedì 20 ottobre 2020
I Thirsenoisin - 9
«Tu devi sposare Arca Salmàn. Sei stata promessa a lui e lo sposerai!»
Il capo tribù Itzoccar voltò le spalle a sua figlia Aristea e si dedicò alla vestizione, aiutato da sua moglie Irisha. In giornata doveva dirimere delle controversie di ultima istanza e non aveva tempo da perdere. E poi, i suoi ordini non si discutevano. Nessuno osava metterli in discussione. Discutere un ordine di Itzoccar poteva costare la vita. Tutti lo sapevano. Era su questo che si reggeva, a memoria d’uomo, il regno di Kolossoi. Come osava sua figlia, poco più di una bambina, discutere una decisione già presa da lui?
Aristea queste cose le sapeva; dalla mamma aveva ereditato il candore e la bellezza ma anche l’intelligenza istintiva che le consentiva quasi di presagire, con fatalismo tutto femminile, quello che sarebbe accaduto e come doveva comportarsi. Ma sapeva anche che il suo cuore ribelle e il suo temperamento volitivo (in questo ne aveva preso da suo padre), l’avevano spinta a chiedere udienza e a tentare di far prevalere, sulla ragione di stato, le sue aspirazioni, i suoi sogni.
Aveva appreso da tempo di essere stata promessa in sposa, già sette anni prima, al figlio del capo della tribù di Gisserri, da sempre loro alleata. All’inizio, nel suo animo di bambina neppure decenne, quella notizia aveva avuto il sapore di un racconto fantastico, simile a quelle storie raccontate da sua nonna nelle notti d’inverno, sulle fate tessitrici, le caprette parlanti e le caverne piene d’oro e di tesori. Ma adesso, da donna, il suo cuore le aveva imposto di gridare la sua voglia di libertà, il suo diritto a sognare. Già da qualche tempo aveva preso a fantasticare sulle città che si stendevano sul mare, oltre gli ultimi villaggi nuragici. Era lì che volava la sua fantasia, era lì che voleva recarsi; era lì che voleva incontrare un uomo che la conducesse in mare, sulla sua nave grande, a visitare nuove città e nuovi mondi. Lei non voleva rinchiudersi in un villaggio, magari un po’ più grande del suo, come era Giserri; ma pur sempre un villaggio. Per ora non aveva potuto fare di più che scappare, piangendo, quando suo padre le aveva voltato le spalle in quel modo altero, freddo e indifferente.
«Lo odio, lo odio, lo odio!!!» aveva gridato singhiozzando, battendo il pugno sul letto, dove si era buttata disperata. L’impotenza che sentiva pervadere il suo animo, aumentava di più la sua rabbia e il suo dolore.
Suo fratello le si avvicinò e cercò di consolarla, accarezzandole i lunghi capelli castani.
«Coraggio, piccola! C’è un rimedio a tutto! Fatti coraggio!»
Aristea, sul momento, non si chiese come mai il suo fratello maggiore fosse accorso così prontamente. Certamente lui le voleva bene, era la sua sorella minore e aveva avuto sempre nei suoi confronti un senso di protezione. Ma era pur sempre l’erede al trono; e ci teneva a succedere al padre; di questo lui non aveva fatto mai mistero. Li separavano dieci anni di età; lui, il primogenito, erede al trono, lei l’ultimo frutto dell’amore duraturo tra i suoi genitori; anche se degli altri figli nati in mezzo, solo Rumisu, il terzogenito, era sopravvissuto; tutti gli altri figli, chi per una ragione, chi per l’altra, erano morti nei primi anni di vita.
«Aiutami, Damasu! Io non voglio sposare Salmàn! Io voglio un altro uomo, scelto da me e non da mio padre!» disse abbracciandolo. Forse per lei c’era ancora una speranza di salvare i suoi sogni.
Damasu ordinò alla serva di andare a preparare un infuso caldo per calmare sua sorella.
«Lo so! So tutto, io!» la rincuorò Damasu, battendole la mano sulle spalle in modo affettuoso. «Ne parlerò con il saggio Mandis. Nessuno conosce le nostre leggi più di lui e mi saprà consigliare.»
«Perché? Perché veniamo obbligate a sposare un uomo che non amiamo?» gli chiese staccandosi da lui e fissandolo negli occhi.
«Sono le antiche leggi del nostro popolo. Ma vedrai che Mandis saprà trovare una via d’uscita» rispose in maniera sibillina Damasu accommiatandosi dalla sorella. E questo bastò per alleviarle momentaneamente il cuore che sentiva oscuro e pesante nel suo petto.
Intanto Itzoccar svolgeva l’impegnativa udienza, sforzandosi di trattenere la sua mente, che lo trasportava a Gisserri, nell’alta Marmilla, dove presto si sarebbe dovuto recare, per prender parte al raduno settennale delle grandi tribù nuragiche, nel villaggio del suo amico Hannibaàl.
lunedì 19 ottobre 2020
I Thirsenoisin - 8
Nel romanzo ” I Thirsenoisin” due civiltà si confrontano: quella nuragica, che si esprime con le mirabili costruzioni megalitiche e che trova nei bronzetti la sua espressione artistica e culturale più autentica, e quella dei guerrieri Shardana, il popolo del mare, che occupa le coste della Sardegna ed è già proiettata verso l’età del ferro, verso i commerci, verso l’esterno, quasi quanto la civiltà nuragica appare ripiegata su se stessa, arroccata nelle sue tradizioni già millenarie, forti e solide come le reggie nuragiche dove risiedono i re pastori e dove i sacerdoti astronomi studiano i movimenti del sole, della luna e delle stelle, così importanti per i cicli produttivi e per la vita del popolo dei Nuraghi, I Thirsenoisin.
Anche la guerra e l’impossibile amore tra la principessa Aristea e Usala, il rampollo di una delle famiglie Shardana più in vista nella città stato di Nora, fanno parte di un processo che porterà i due popoli a convivere, in nome del benessere comune e del progresso.
8. continua…
mercoledì 14 ottobre 2020
I Thirsenoisin - 3
Purtroppo la civiltà nuragica non ci ha lasciato fonti scritte che possano far luce sulla vita e sull’organizzazione dei numerosi villaggi nuragici, già esistenti e floridi migliaia di anni prima della nostra era cristiana. Le uniche fonti scritte ad occuparsi del popolo dei costruttori di torri, i Thirsenoisin, sono quelle greche e quelle romane. Le prime in termini, tutto sommato, obiettivi se non proprio lusinghieri; le seconde in termini negativi e poco obiettivi. I Nuragici si opposero infatti fieramente alla penetrazione imperialista e dominatrice della potenza militare romana. Una volta sconfitti i Nuragici, seppure fisicamente sfuggirono, in parte, alla vendetta romana, rifugiandosi all’interno dell’isola, culturalmente furono alla mercè degli storici e dei redattori romani, che non furono per niente teneri coi vinti.
Ma nonostante la mancanza di fonti scritte dirette, e la testimonianza tardiva, e per di più inattendibile, delle fonti romane, i manufatti dell’antica civiltà nuragica possono aiutarci a capire la vita dei nostri antenati. In particolare i resti di cibo e di ceramiche ritrovati all’interno dei nuraghi e gli stessi edifici caratteristici della Sardegna dell’epoca nuragica(se ne contano oltre settemila, ancora oggi, lungo tutto il territorio dell’isola), ci dicono molto sui costumi e sugli usi di quel popolo; mentre i manufatti, e in particolare i bronzetti, possono illuminarci e suggerirci quale fosse l’organizzazione sociale di un villaggio nuragico.
Una figura centrale nell’organizzazione del villaggio nuragico era sicuramente il re pastore, il capo tribù, rappresentato nei bronzetti con il mantello, lo scettro, costituito da un robusto e lungo vincastro, forse di ulivo, e il pugnale, con il manico a forma di esedra risposto nel fodero e posato sul petto. Un’altra figura centrale doveva essere costituita dal capo dei sacerdoti, una sorta di sciamano, depositario dei riti e delle formule sacre, consigliere prezioso e responsabile dei cicli delle colture agricole, un pò medico e stregone, ma anche architetto, astronomo e funzionario addetto all’annona; sicuramente compartiva il potere alla pari con il re pastore.
Altre figure di spicco, sempre studiando la copiosa presenza dei bronzetti d’epoca, erano i guerrieri, i servi, le sacerdotesse, i suonatori di launeddas e altre figure, apparentemente minori, ma che il ritrovamento di nuovi manufatti potrebbe invece rilanciare nel palcoscenico della civiltà nuragica.
3. continua…
domenica 11 ottobre 2020
I Thirsenoisin
Nessuno sa, ancora oggi, da dove siano giunti quei popoli lontani, che costruivano torri. Vi fu una profezia. Due aquile arrivavano da oriente, rapaci e fameliche, avrebbero distrutto e conquistato tutto; solo le torri costruite dai Thirsenoisin sarebbero rimaste in piedi, a sfidare il tempo, mute testimoni di un tempo senza scrittura, senza storia.
Altri hanno scritto la storia per noi; altri hanno parlato; noi, a capo chino, abbiamo proseguito il cammino sui sentieri dell’isola rocciosa, battuta dai venti. Ma i Nuraghi sono rimasti, i testimoni del nostro passato, con i pozzi sacri, le domus de jana, le tombe dei giganti, i Menhir e le pietre fittili conficcate in eterno nella terra di Sardegna.
continua…
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