last moon
sabato 20 agosto 2022
Profeti, politici e cialtroni
lunedì 8 agosto 2022
La Squadra Omicidi di Cagliari in azione - 1
martedì 2 agosto 2022
Omicidio a Cagliari - 8
Capitolo ottavo
Il sabato pomeriggio,
verso le 16,30 il commissario Santiago fu svegliato dalla vibrazione del suo
cellulare. Il suo rapporto con la tecnologia era stato da subito ambiguo, per
non dire schizofrenico.
Finché aveva potuto, aveva resistito con la sua macchina da
scrivere Olivetti e senza cellulare. Poi, per amore di sua moglie, si era
rassegnato a portare con sé un cellulare; e in ufficio era arrivata,
obbligatoria e improrogabile, la nuova tecnologia informatica; e anche lui si
era dovuto piegare all’uso del computer e degli altri strumenti informatici.
Erano innegabili i vantaggi che la nuova frontiera
tecnologica aveva portato con sé: la velocità della comunicazione via Internet,
consentiva la trasmissione di documenti e messaggi scritti e vocali in tempo
reale e in maniera diretta; la redazione dei documenti era agevolata dalla
possibilità di correzioni multiple e contestuali, oltre che dalla eventualità
di redigere i nuovi documenti, partendo
dai vecchi; e le informazioni viaggiavano alla velocità della luce da un capo
all’altro del globo, comprese le informative tra le questure e tra queste e le
direzioni generali del ministero; anche lo scambio di informazioni con le
sezioni criminali estere (criminalpol, europol e quant’altro) era divenuto più
diretto e immediato. Eppure, mentre si adeguava di buon grado a quella
inarrestabile rivoluzione tecnologica, forse per un inconscio atteggiamento di
autodifesa verso quei rinnovamenti troppo repentini e incontrollabili, capaci di travolgere secoli,
se non millenni, di abitudini acquisite, il commissario De Candia, si immergeva
tuttavia, in un mare di nostalgico
romanticismo, dove il passato assumeva i contorni di una epopea di felicità
ormai perduta.
Amava ripetere, al proposito, che per fortuna gli altri uomini erano diversi da lui, altrimenti l’umanità
si troverebbe ancora a vivere nelle caverne o tutt’al più nelle palafitte, procacciandosi il cibo con arco e frecce; e magari avrebbe trascorso le notti d’estate sotto il cielo stellato, trasmettendo oralmente fantastiche storie di magiche avventure, custodendo i segreti della scienza e della medicina dentro templi di pietra e adorando improbabili dei sotto la luna splendente.
Si trattava evidentemente
di una iperbole, provocatoriamente assurda e indifendibile, ma c’era un fondo
di verità in quei discorsi, emblematici di una personalità conservatrice e riservata, quasi votata a un monachesimo profano o a un eremitismo
romantico.
E il suo cellulare non
aveva suoni ma solo vibrazioni; quasi una rivalsa verso un mezzo al quale non
voleva concedere uno spazio di intervento troppo ampio.
A pranzo si era cucinato
delle orecchiette alle alici marinate e due triglie di scoglio alla livornese;
il vino bianco e fresco lo avevano predisposto alla migliore siesta che si
potesse desiderare in un pomeriggio di maggio. Il suo udito superfino avvertì
la vibrazione, mentre le spire di sogni confusi si diradavano fugacemente.
«Sì?»
«E’ il commissario De Candia?» chiese
una voce femminile che non sembrava del tutto sconosciuta.
«Sì!»
«Non
la sapevo amante dell’opera!»
Adesso che il
suo cervello aveva ripreso a funzionare a pieno regime, riconobbe subito quella
voce
«Luisa! Ma che piacere! Come stai?»
«Grazie per le splendide rose, Santiago!»
disse la voce all’altro capo del telefono. Adesso il tono era passato dalla
celia di prima, a una frequenza intima e sottile che penetrò profondamente
nell’animo del commissario. «Meno male!»
pensò, poco prima di dire a voce alta:
«Contento che ti siano piaciute!»
«Sono stupende!»
Il commissario percepì ancora nelle corde più intime del
suo cuore, il sentimento e le vibrazioni che emanavano da quella voce.
Al mattino, mentre si recava al mercato civico di San
Benedetto, per il suo consueto shopping
alimentare del sabato mattino, era
passato davanti a un negozio di fiori e aveva vinto i suoi dubbi e le sue
ritrosie. Le aveva mandato quindici rose rosse (dodici erano pari e non andava
bene, gli aveva detto il fioraio; e tredici non andavano bene a lui; ) con un
invito per il matinèe al teatro dell’opera, dove andava in scena, il giorno
dopo, la Carmen di Bizet.
«Volevo ringraziarti anche per l’invito a
Teatro che accetto ben volentieri!»
aggiunse Luisa Levi, tornando al suo consueto tono di voce, squillante e
professionale, che al commissario piaceva comunque tanto.
«Benissimo. Allora ci vediamo domani! Passo
a prenderti alle 17,30!»
«D’accordo. Ma se la giornata lo consente,
sarebbe bello andare a piedi. Da casa mia è sufficiente attraversare il Parco
della Musica e siamo subito a Teatro!»
«Va bene. Parcheggerò nei dintorni e poi
andremo a piedi!»
«Trattandosi di un matinée non penso di
mettermi in abito da sera…»
Il commissario rifletté solo un attimo. L’avvocato
Levi non parlava mai soltanto per parlare.
«Tranquilla, non mi metterò lo smoking!
Forse un abito beige, addirittura..»
«Buono a sapersi!»
commentò Luisa Levi soddisfatta. E subito dopo aggiunse:
«Com’è andata la riunione del venerdì?»
«Bene! Domani ti dirò»
rispose il commissario che non amava intrattenersi troppo al telefono, neanche
con una persona speciale come lei.
«Anche io ho delle novità in proposito…»
disse lei a sua volta.
«Non vedo l’ora di sentirle e non vedo
l’ora di vederti!» si sbilanciò il
commissario, per farle capire, ma con il dovuto garbo, che avrebbe preferito
parlarne di persona.
Lei capì al volo e dopo qualche altro convenevole di
prammatica si salutarono.
Il commissario voleva godersi ancora un po’ il suo
confortevole divano; si preparò un caffè, mise un disco della Carmen e dopo
aver recuperato il libretto che venti anni prima aveva acquistato al teatro in
occasione della regia che il grande Peter Brook aveva curato per quell’opera
all’anfiteatro romano, ormai chiuso agli spettacoli da anni, si dedicò alla
lettura del libretto. Gli serviva da ripasso, ma gli sarebbe stato utile
qualora la sua accompagnatrice si fosse voluta confrontare con lui su
quell’opera così densa di sentimento e di passione.
La sua accompagnatrice, all’indomani, si mostrò
alquanto preparata. Si era vestita con una
gonna plissettata color ocra, al ginocchio e un maglioncino nero, a
maniche corte, sui spiccava un filo di perle bianche. Una giacca in tinta con
la gonna e una pochette rossa, a tracolla,
abbinata nel colore alle scarpe
tacco dieci, completavano la sua mise
elegante.
Il commissario ebbe da ridire sulla regia, che aveva
ambientato la vicenda negli anni trenta del secolo ventesimo, invece di
adeguarsi all’ambientazione originale, che retrodatava a oltre un secolo
precedente. Luisa lodò come
apprezzabile lo sforzo registico,
definendolo un tentativo apprezzabile di svecchiare l’opera.
In pizzeria riuscirono a parlare della vicenda di via
Giudicessa Adelasia. L’avvocato Levi consegnò al commissario un elenco completo
e una descrizione dettagliata dei gioielli che erano custoditi nella
cassaforte, appartenuti alla povera signora Emma Pirastu. Quella donna non
smetteva mai di sorprenderlo per l’intelligenza e il fascino che riusciva a
dimostrare in eguale misura e in pari intensità. Lo informò inoltre che il suo
assistito era andato in Banca e aveva scoperto che era stati effettuati due
prelievi con il bancomat, in due giorni differenti: il giorno dell’omicidio e
il giorno dopo. Poi la banca, letta la notizia sul giornale aveva provveduto a
bloccare il conto corrente.
Alessandro Pirastu aveva precisato che, nonostante le
sue raccomandazioni in senso contrario, sua zia si ostinava ad avvolgere la
tessera bancomat in un foglio di carta ove aveva trascritto il codice segreto
(che lui invece ricordava a memoria). Quindi il ladro omicida aveva avuto gioco
facile a fare i prelievi.
Per quanto
riguarda il libretto postale le cose erano un po’ più complicate. Era stato emesso dalle Poste Centrali di
Piazza del Carmine ma i prelievi, con appropriati documenti di identità, si potevano fare
prelievi in tutti gli uffici d’Italia, nel limite, pare, di seicento euro al
mese. Col libretto erano spariti anche la carta di identità della vittima. Il
suo assistito si sarebbe recato alle Poste per vedere di bloccare il libretto,
pur se non ne ricordava a memoria gli estremi. Ad ogni buon conto, lei, l’avvocato,
avrebbe provveduto a mandare una diffida alla sede legale di Torino per
bloccare comunque i prelievi da ogni titolo cartaceo, materiale o
immateriale, intestato alla defunta Emma
Pirastu.
Insomma per il commissario non era rimasto un granché
da fare, almeno con riguardo alla Banca e alle Poste.
Si salutarono in via Giudicessa Vera, una parallela
della via Torbeno e della stessa via Giudicessa Adelasia dove il commissario De
Candia aveva parcheggiato la sua auto.
Luisa gli diede un bacio fugace sulle labbra,
stringendosi a lui con trasporto e ringraziandolo ancora per le rose rosse e
per la serata trascorsa insieme.
Vedendola andar via, il commissario si chiese se
l’avesse potuta ancora stringere tra le braccia. Era la cosa che avrebbe voluto
di più, in assoluto.