Voglio
ricordare però tre episodi importanti che avvennero prima del rientro a scuola:
Il
primo avvenne a Venezia il Sabato 16 settembre 1972.
Il
papa Paolo VI a Venezia nella sua breve visita pastorale nella città lagunare,
al termine della Messa celebrata in
piazza San Marco, si toglie la stola
papale, la mostra alla folla e la mette sulle spalle del patriarca, Albino
Luciani, visibilmente imbarazzato. Il gesto del Pontefice non viene ripreso
dalle telecamere che hanno già chiuso il collegamento ma è documentato da
numerose fotografie. Albino Luciano sarà il papa di un mese nel 1978. La sua
morte repentina è ancora oggetto di tante chiacchiere e dicerie sulla congiura
che sarebbe maturata nei palazzi apostolici vaticani a suo danno.
La
seconda è datata Giovedì 21 settembre 1972. L’isola di Santo Stefano, in
Sardegna, viene concessa agli USA come
appoggio militare per i sommergibili nucleari. Di tale concessione non venne
mai esibito da Andreotti (e dagli altri politici responsabili) alcun Trattato,
per cui si dovette presumere trattarsi di un accordo segreto. Tutto il
movimento studentesco si sollevò contro tale concessione e non soltanto in
Sardegna.
La
terza ed ultima notizia è di Lunedì 25 settembre 1972 e riguarda le dimissioni
di Storti, segretario CISL, per contrasti con la destra interna contraria
all’unificazione sindacale. Si tratta della famosa unificazione sindacale nella
triplice, CGL, CISL e UIL che fu per decenni una vera e propria potenza
politico-sindacale.
Venerdì
13 ottobre 1972 la Corte di cassazione trasferisce a Catanzaro il processo per
la strage di piazza Fontana.
Venerdì
20 ottobre 1972 vengono indiziati di
reato, per omissione di atti d’ufficio nelle indagini sulla strage di piazza
Fontana tre dipendenti del Ministero degli Interni. Elvio Catenacci era dirigente
degli Affari riservati di quel ministero. Gli altri due erano i capi degli
uffici politici delle questure di Roma e Milano e si chiamavano Bonaventura
Provenza e Antonino Allegra. Il provvedimento è legato in particolare alle
indagini sulle borse usate per gli attentati di Milano.
Sabato
21 ottobre 1972 ci sono degli attentati ai treni che portano a Catanzaro i
sindacalisti per una conferenza sul Mezzogiorno: 6 feriti.
Mercoledì
8 novembre 1972 Richard Nixon trionfa
nelle presidenziali Usa.
Lunedì
13 novembre 1972 nel corso del XXXIX congresso del PSI a Genova viene eletto
segretario Francesco De Martino.
Domenica
26 novembre 1972 viene dato fuoco alle auto di nove impiegati Fiat.
L’atto
criminoso verrà rivendicato dalle
Brigate rosse . Questa organizzazione terroristica di sinistra farà a lungo
parlare di sé per tutti gli anni settanta. Il suo potere e il suo terrore
culmineranno nel 1978 con il rapimento dell’onorevole Aldo Moro e con lo
sterminio sanguinoso della sua scorta. Si erano illusi di poter conquistare
l’Italia non con le armi della democrazia ma attraverso un’insurrezione
popolare. Si accorsero ben presto che gli italiani non erano disposti a
seguirli e che erano soltanto un gruppo di fanatici sanguinari che sognavano
una rivoluzione impossibile. E meno male che gli italiani non li hanno seguiti:
che cosa sarebbe uscito fuori di buono da una ennesima rivoluzione comunista
fondata sul sangue innocente?
Sono
stato sempre contrario alla violenza, oggi come allora. Con la maturità di oggi
posso dire che preferisco dare retta a San Paolo e invitare i giovani a seguire
le leggi. Chi rispetta e segue le leggi non sbaglia mai.
Ma
soprattutto raccomando di non affidarsi mai alla violenza. Essa è foriera di
altra violenza e non porta mai a nulla di buono.
Venerdì
1 dicembre 1972 muore a Roma, in una stanza all’undicesimo piano del
policlinico Agostino Gemelli, l’ex presidente della Repubblica Antonio Segni.
Accanto a lui la moglie Laura, i quattro figli Celestino, Giuseppe, Paolo e
Mario con le nuore, il medico curante professor Breda e il medico personale
professor Giunchi. La notizia della morte è comunicata al Senato dal
vicepresidente Spataro.
Sempre
il 1º dicembre, a Torino, il pugile
Bruno Arcari conserva il titolo mondiale dei Welters junior vincendo ai punti
contro lo sfidante Costa Azevedo.
Il 3
dicembre a Roma: viene arrestato il boss mafioso Tommaso Buscetta. Estradato
dal Brasile, dovrà scontare 14 anni di carcere. Diventerà la gola profonda di
Cosa Nostra e inaugurerà la stagione del pentitismo di mafia.
Il 14
dicembre a Bonn viene eletto cancelliere il socialdemocratico Willy Brandt. Sarà il fautore della c.d.
Ostpolitik, la politica di apertura verso l’Est che, indebolendo l’Unione Sovietica,
porterà alla riunificazione della Germania nel 1989.
Il 15
dicembre viene approvata la legge n. 773
(legge Valpreda) con la quale viene concessa la libertà provvisoria prima della
sentenza anche agli imputati per reati gravi che siano in attesa di giudizio da
lungo tempo. Grazie a questa legge, l’anarchico Pietro Valpreda verrà
scarcerato dopo tre anni di ingiusta detenzione.
Entra in vigore in via definitiva la legge 772 che
permette l’obiezione di coscienza al servizio militare.
Il 19
dicembre l’Apollo 17 ammara nell’oceano riportando a casa Eugene Cernan, Ronald
Evans e Harrison Schmitt. È la conclusione della prima (finora) esplorazione
umana della Luna.
Il 21
dicembre: Germania Ovest e Germania Est si riconoscono vicendevolmente.
A
scuola rientrammo l’8 gennaio, dopo l’Epifania, come d’abitudine.
Per il
secondo anno consecutivo, però, il rientro dalle vacanze di Natale non segnò la
fine degli scioperi.
Adesso
si riprendeva a protestare già dopo qualche settimana di studio (a ridosso
delle interrogazioni di fine quadrimestre) e poi si proseguiva, tra alti e bassi, sino ad aprile-maggio, quando con gli
appuntamenti canonici ed imprescindibili, del 25 aprile e del 1°
maggio ci si ritrovava nelle piazze per chiudere la stagione delle proteste.
Gli
animi degli studenti erano dunque ormai accesi praticamente per tutto l’anno
scolastico.
Uno
dei temi nazionali, oltre al tema delle stragi di Stato, ormai entrato nel
linguaggio extra-parlamentare corrente, era quello del riconoscimento dei
diritti agli studenti di dibattere
all’interno dell’orario scolastico. La rivendicazione scandalizzava i benpensanti
e i reazionari che invece ribattevano come gli studenti dovessero pensare
soltanto a studiare (e ad obbedire).
Il disegno di legge n. 2728, che prevedeva una delega del
parlamento al Governo per il riordino della scuola, stazionava in commissione
sin dal 1970.
Dopo una serie di rimaneggiamenti questo disegno portò alla
legge delega 477/1973, la madre del riordino scolastico con cui vennero
concessi agli studenti i diversi diritti che essi reclamano sin dal 1968, tra
cui il diritto alle assemblee d’istituto e alle assemblee di classe (oltre che
alla rappresentanza studentesca nel consiglio d’istituto).
Motivo per cui le
manifestazioni ripresero a metà gennaio, subito dopo l’inizio delle lezioni.
Eppure l’anno era iniziato sotto gli auspici dell’allargamento
della CEE alla Danimarca, alla Repubblica d’Irlanda e del Regno Unito (il cui
ingresso era stato a lungo ostacolato dal generale De Gaulle che, come ogni
buon francese che si rispetti, non amava molto gli Inglesi).
Ormai ci si incontrava molto spesso anche al pomeriggio. Nelle
accesissime discussioni, che si
svolgevano per lo più alla Casa dello Studente di Magistero (allora sito nella
Piazza d’Armi di Cagliari) si mischiavano i massimi sistemi ed i temi di politica
internazionale (la lotta di classe, la repressione della borghesia, lo
sfruttamento del proletariato, la guerra del VietNam) con i problemi di
pratica quotidianità (la pendolarità, la
mensa degli studenti, da estendere anche a noi degli istituti superiori, la
carenza di laboratori, palestre e
strutture scolastiche in generale).
Erano temi più grandi di noi ma Dio sa se sulla maggior parte
di essi non avevamo ragione. Io, per esempio, non sono mai entrato in un
laboratorio e non ho mai usato una calcolatrice messa a disposizione dalla
scuola; e per le lezioni di Educazione Fisica (oggi la materia si chiama
“Scienze Motorie”) dovevo andare in contro turno al campetto della Rai di Viale
Bonaria.
E per quanto riguarda i temi di più ampio respiro, se
proviamo a sfrondare i discorsi di allora dai fronzoli e dai manierismi
sessantotteschi, oggi non parleremo forse di sfruttamento del capitalismo o di
lotta di classe, ma di redistribuzione più equa della ricchezza nazionale. E
per quanto riguarda il VietNam e gli USA, beh, sappiamo tutti che ci sono a
capo di quei Paesi due capoccioni fuori di testa, smaniosi di dare l’avvio alla
più cruenta e distruttiva guerra mondiale che la Terra abbia visto, dai tempi
della guerra di Troia ai nostri giorni!
C’erano,
come ho già scritto, anche dei gruppi politici organizzati: Lotta Continua, Il
Movimento marxista-leninista, I Maoisti, su Populu Sardu, Servire il
popolo, e altri che adesso non ricordo;
ma molti di noi studenti, e io fra questi, in realtà volevano soltanto una
società più giusta, un’alternativa allo strapotere democristiano (che sembrava
non avere rivali), e non avevamo un inquadramento politico vero e proprio.
Ecco
uno scampolo tratto dai volantini in ciclostile, frutto di quelle nostre fumose
ed accalorate riunioni:
“
STUDENTI! Ancora una volta la repressione colpisce il movimento di massa degli
studenti in lotta. Ciò è quanto avvenuto al liceo classico Siotto dove gli
studenti dell’Artistico in sciopero si erano recati per affrontare il problema
dell’edilizia scolastica, dove la polizia è intervenuta nel corso della libera
assemblea per prendere le generalità degli studenti. Ma gli studenti del Siotto
e dell’Artistico non si sono fatti certo intimidire dai servi della borghesia
ed anzi, tutti assieme, si sono recati in Facoltà di Lettere dove, nonostante
il tentativo del Rettore, gli studenti hanno proseguito lo svolgimento
dell’assemblea. PER COMPRENDERE NEL SUO VERO SIGNIFICATO QUANTO E’ AVVENUTO AL
SIOTTO E NELLA FACOLTA’ DI LETTERE BISOGNA INQUADRARE TUTTO CIO’ NELLA POLITICA
CHE LA BORGHESIA ITALIANA STA PORTANDO AVANTI SU TUTTI I FRONTI. Il capitalismo
italiano si dibatte in una profonda crisi. Questa crisi trae origine dai
fattori interni del capitalismo e del suo sistema di sfruttamento. Da una parte
vi è un piccolo numero di sfruttatori e dall’altra le vastissime masse
lavoratrici e popolari le quali prendono coscienza sempre più che questo
sistema è contro di esse.”
E’ ben vero che su mille studenti scioperanti, ai
cortei ci ritrovavamo in cento; e di questi cento, soltanto dieci partecipavano alle riunioni
dei collettivi nelle varie sedi che si offrivano di ospitare i dibattiti degli
studenti in lotta. La maggior parte degli studenti preferivano imboscarsi con
le ragazze nei ritrovi della zona del Castello, la parte medioevale di
Cagliari, strapiena di club privati (come si chiamavano allora i ritrovi
sociali giovanili), dove si faceva di tutto: ballare, fumare, sfranellare e anche il resto.
Ma io avevo addosso il sacro fuoco della
rivoluzione, e fedele ai miei principii e alle mie scelte, proseguivo e
persistevo nella lotta senza tregua contro le istituzioni.
A pensarci bene, non mi sarebbe convenuto farmi
una ragazza e imboscarmi come gli altri in un circolo di Castello?
Non solo mi sarei risparmiato tante arrabbiature,
ma mi sarei sicuramente divertito di più!
Invece, sulle ali del mio impegno politico, passai,
forse senza rendermene conto, quel segno che qualcuno aveva tracciato per terra
come limite massimo della protesta.
In seguito a un’assemblea negataci dal
preside io mi recai nelle classi e,
interrompendo sfacciatamente le lezioni, convocai l’assemblea permanente.
Alcuni docenti non gradirono evidentemente la mia
interruzione e mi segnalarono al preside.
Non so se il Capo dell’istituto segnalò la cosa
al di fuori della scuola (non l’ho mai saputo; e se lo ha fatto, tutto venne
archiviato) ma so per certo che riunì il Consiglio di Classe e chiese
l’adozione di seri provvedimenti. Si formarono all’interno del Consiglio di
Classe due fazioni: una era per la linea dura e implicava, con la sospensione sine
die della frequenza, l’ espulsione dalla scuola; un’altra propugnava
invece una linea più morbida, di comprensione, che prevedeva la sospensione
temporanea, per un massimo di 15 giorni, anche per il fatto che il mio profitto
scolastico, nei cinque anni, era stato, tutto sommato, più che buono. Alla fine
prevalse la linea morbida, anche grazie all’intervento di mia madre che si
precipitò a scuola a perorare la mia causa, pregando i miei docenti di non
rovinare la mia carriera scolastica e la mia stessa vita (si sa come sappiano
essere melodrammatici i cuori di mamma per i loro figli, sempre innocenti,
bravi ragazzi o tutt’al più birichini). Ciò non mi evitò comunque una bella sospensione di 15 giorni, con
annessi e connessi.
Voglio
precisare, per concludere, che la nostra era più una protesta culturale e
sociale, piuttosto che politica.
Volevamo molto semplicemente più
spazi per i dibattiti all’interno della scuola e un ruolo costruttivo (magari
in unione con gli operai) fuori dalla scuola.
Volevamo più libertà di pensiero; odiavamo l’autorità costituita e la scuola gerarchica e schematizzata di stampo ancora fascista (o così sembrava a noi).
Volevamo più libertà di pensiero; odiavamo l’autorità costituita e la scuola gerarchica e schematizzata di stampo ancora fascista (o così sembrava a noi).
Io,
pur condividendo gran parte delle rivendicazioni studentesche di quegli
anni, rifiutavo per indole e per istinto
la contrapposizione violenta tra gruppi estremisti di sinistra e gruppi
estremisti di destra.
Detestavo
(e detesto tuttora) ogni forma di violenza. I miei idoli erano Kennedy, Marthin
Luther King e Gandhi; e della religione mi affascinava soltanto Gesù, con la
Sua mitezza, la Sua innocenza, il Suo amore per gli ultimi e i diseredati,
mentre detestavo con tutta la forza dei miei diciotto anni le gerarchie vaticane (non è che mi
facciano impazzire neanche tutt’oggi; a parte papa Francesco, naturalmente).
Questo
mio amore per Gesù lo pagai a caro prezzo all’esame di maturità (come si
chiamava allora l’esame conclusivo di licenza superiore).
Ma
questo fa già parte della prossima puntata.
Con il
mio allontanamento da scuola e la mia sospensione, gli scioperi e le proteste ebbero termine.
Le
emozioni e i sentimenti che provai in quei quindici giorni passati a casa,
lontano dalla scuola, furono assai intensi e contraddittori.
Passavo
dal pentimento alla rabbia; dal vittimismo al desiderio di rivalsa; dalla
rassegnazione ad un senso di sollievo perché, tutto sommato, poteva anche essermi
andata peggio; quindi subentrava un sentimento di disagio e di inadeguatezza,
dovuto all’incapacità di ricapitolare
razionalmente quanto mi era successo e, a momenti, perfino un sentimento di
frustrazione per non poter tornare indietro, per riavvolgere gli ultimi
avvenimenti occorsi ed imprimergli un finale meno umiliante e amaro.
E in
fondo all’animo riflettevo sulla condizione umana. Pensavo che siamo come i bagagli
degli aeroporti. Qualcuno, un giorno, ci confeziona e ci imbarca; così iniziamo
un viaggio lungo e contorto. Se
superiamo ostacoli e tragitti, finalmente vediamo la luce, attraverso l’uscita del nastro trasportatore che ci immette nella sala
di recupero dei bagagli dove, se tutto va bene, qualcuno è ansioso di prendersi
cura di noi. In casi estremi , ma non è raro, possiamo anche perderci per
dimenticanza o menefreghismo degli stessi soggetti che ci hanno concepiti. E se
vediamo la luce della sala d’attesa, uscendo da quel buffo carosello che si
chiama nastro trasportatore, inizia la nostra vita. E siamo come pantaloni,
cappelli, cravatte, camicie, giacche, mosse dal vento, spinti talvolta così
lontano, da non ritrovare neppure la
strada per ricongiungerci a chi sembrava così affezionato da non poter vivere
senza di noi.
O
forse, se siamo fortunati, siamo come la pioggia, che scende da cielo
sulla terra, la feconda, e poi evapora e ritorna in cielo.
Io mi
sentivo come una pietra di fiume, rovente e immobile nel greto secco,
rotolando a valle sotto lo scorrere dell’acqua nei periodi di piena, capace di
aggregarmi, lungo il percorso, con chiunque mi fosse capitato vicino: alghe,
pesci, altri ciottoli rutilanti, oggetti organici e inorganici coinvolti con
me in quel viaggio senza altra meta che una indefinita valle dove attendere
un’altra stagione di pioggia o di sole per poter ricominciare tutto da capo.
Passavo le giornate ascoltando le canzoni che allora andavano
per la maggiore: Alice di Francesco De
Gregori; E mi manchi tanto degli Alunni Del Sole; Erba di casa mia di Massimo Ranieri; Vento nel vento, Il mio
canto libero e Io vorrei non vorrei ma
se vuoi di Lucio Battisti; Viva l’Inghilterra di Claudio Baglioni; Vado via di Drupi; Canzone
intelligente di Cochi e Renato; Crocodile rock e Daniel di Elton John; Walk on the wild side di Lou Reed; You're
so vain di Carly Simon e tante altre di
cui cercavo gli accordi sulla chitarra, testardamente, per ore ed ore.
Quando
rientrai a scuola feci appena in tempo a prendere visione del programma svolto
e delle cose da studiare che fu subito Pasqua. Riuscii a recuperare e a ottenere la sufficienza in tutte le
materie. Così venni ammesso a sostenere l’esame di maturità.
Sfortuna
volle però che venisse designato come Commissario Interno il docente di Inglese, un certo prof. Zucca (che io
avevo soprannominato Joe Vernaccia) e che apparteneva all’ala dei duri del Consiglio
di Classe (cioè di coloro che mi avrebbero ben volentieri fatto fuori per
sempre).
Oltretutto, ma questo lo scoprii dopo, qualche carogna di compagno di classe gli aveva riferito del soprannome che gli avevo rifilato.
Oltretutto, ma questo lo scoprii dopo, qualche carogna di compagno di classe gli aveva riferito del soprannome che gli avevo rifilato.
A quel
tempo i commissari esterni si affidavano completamente al commissario interno
per conoscere la personalità del maturando, anche se i voti e un giudizio
sommario stabiliti dal consiglio collegialmente potevano comunque fornire una
indicazione, seppure soltanto provvisoria e non certo decisiva. L’esame consisteva in due
scritti (italiano e materia di indirizzo) e in un colloquio comprendente
quattro materie designate in precedenza in parte dal Ministero e in parte dal
Consiglio di Classe. Di queste quattro una veniva scelta dal candidato e
l’altra, a sorpresa, dalla commissione d’esame (in realtà era invalso l’uso di
consentire la scelta, tramite il commissario interno, anche della seconda
materia).
Insomma
l’esame non era un granché difficile.
Io
scelsi il tema che invitava il candidato ad esporre con parole sue il
significato che egli attribuiva all’art. 11 della Costituzione. Era un tema
sulla pace. Io ero per la pace, lo sono sempre stato e sempre lo sarò.
Nel
tema parlavo dei miei idoli di allora: Marthin Luther King, il Mahatma Gandhi,
Gesù Cristo (che allora riconoscevo e ammiravo come Uomo, vittima
dell’incomprensione e della protervia degli uomini di potere; mentre oggi lo
riconosco anche per quel che Egli effettivamente è: il Figlio di Dio sceso in
terra per la nostra salvezza).
Ma il
commissario interno mi aveva presentato come un sovversivo, rivoluzionario e di
sinistra (e forse, chissà, anche un
potenziale terrorista).
Sostenne che io avevo cercato di ingraziarmi la
commissione presentandomi come un agnello innocente mentre in realtà ero un
lupo.
Per
farla breve il mio esame fu un disastro. Ma per fortuna riuscii a superarlo. Un
altro anno in quella scuola non lo avrei davvero voluto fare.
E
neanche loro, probabilmente, mi ci avrebbero voluto.
Ironia
della sorte, la mia tesi all’Università, molti anni dopo, avrebbe avuto ad oggetto la risoluzione
pacifica delle controversie internazionali in ambito ONU.
Mio
relatore sarebbe stato il vecchio Preside, l’esimio prof. Giovanni Pau, grande internazionalista, che sarebbe
riuscito a farmi dare il massimo punteggio che poteva essere assegnato per la tesi, in proporzione alla
media dei voti riportati (il che mi portò ad una votazione che veniva definita,
al tempo, come corrispondente ai “pieni voti legali”).
Ma
questo fa già parte di un’altra storia.
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