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sabato 6 aprile 2019

Memorie di scuola - Parte prima



A scuola rientrammo  Lunedì 2 ottobre 1972.
Voglio ricordare però tre episodi importanti che avvennero prima del rientro a scuola:
Il primo avvenne a Venezia il Sabato 16 settembre 1972.
Il papa Paolo VI a Venezia nella sua breve visita pastorale nella città lagunare, al termine della Messa celebrata  in piazza San Marco,  si toglie la stola papale, la mostra alla folla e la mette sulle spalle del patriarca, Albino Luciani, visibilmente imbarazzato. Il gesto del Pontefice non viene ripreso dalle telecamere che hanno già chiuso il collegamento ma è documentato da numerose fotografie. Albino Luciano sarà il papa di un mese nel 1978. La sua morte repentina è ancora oggetto di tante chiacchiere e dicerie sulla congiura che sarebbe maturata nei palazzi apostolici vaticani a suo danno.
La seconda è datata Giovedì 21 settembre 1972. L’isola di Santo Stefano, in Sardegna,  viene concessa agli USA come appoggio militare per i sommergibili nucleari. Di tale concessione non venne mai esibito da Andreotti (e dagli altri politici responsabili) alcun Trattato, per cui si dovette presumere trattarsi di un accordo segreto. Tutto il movimento studentesco si sollevò contro tale concessione e non soltanto in Sardegna.
La terza ed ultima notizia è di Lunedì 25 settembre 1972 e riguarda le dimissioni di Storti, segretario CISL, per contrasti con la destra interna contraria all’unificazione sindacale. Si tratta della famosa unificazione sindacale nella triplice, CGL, CISL e UIL che fu per decenni una vera e propria potenza politico-sindacale.
Venerdì 13 ottobre 1972 la Corte di cassazione trasferisce a Catanzaro il processo per la strage di piazza Fontana.
Venerdì 20 ottobre 1972 vengono indiziati  di reato, per omissione di atti d’ufficio nelle indagini sulla strage di piazza Fontana tre dipendenti del Ministero degli Interni. Elvio Catenacci era dirigente degli Affari riservati di quel  ministero. Gli altri due erano i capi degli uffici politici delle questure di Roma e Milano e si chiamavano Bonaventura Provenza e Antonino Allegra. Il provvedimento è legato in particolare alle indagini sulle borse usate per gli attentati di Milano. 
Sabato 21 ottobre 1972 ci sono degli attentati ai treni che portano a Catanzaro i sindacalisti per una conferenza sul Mezzogiorno: 6 feriti.
Mercoledì 8 novembre 1972 Richard  Nixon trionfa nelle presidenziali Usa. 

Lunedì 13 novembre 1972 nel corso del XXXIX congresso del PSI a Genova viene eletto segretario  Francesco De Martino.
Domenica 26 novembre 1972 viene dato fuoco alle auto di nove impiegati Fiat.
L’atto criminoso verrà rivendicato dalle   Brigate rosse . Questa organizzazione terroristica di sinistra farà a lungo parlare di sé per tutti gli anni settanta. Il suo potere e il suo terrore culmineranno nel 1978 con il rapimento dell’onorevole Aldo Moro e con lo sterminio sanguinoso della sua scorta. Si erano illusi di poter conquistare l’Italia non con le armi della democrazia ma attraverso un’insurrezione popolare. Si accorsero ben presto che gli italiani non erano disposti a seguirli e che erano soltanto un gruppo di fanatici sanguinari che sognavano una rivoluzione impossibile. E meno male che gli italiani non li hanno seguiti: che cosa sarebbe uscito fuori di buono da una ennesima rivoluzione comunista fondata sul sangue innocente?
Sono stato sempre contrario alla violenza, oggi come allora. Con la maturità di oggi posso dire che preferisco dare retta a San Paolo e invitare i giovani a seguire le leggi. Chi rispetta e segue le leggi non sbaglia mai.
Ma soprattutto raccomando di non affidarsi mai alla violenza. Essa è foriera di altra violenza e non porta mai a nulla di buono.
Venerdì 1 dicembre 1972 muore a Roma, in una stanza all’undicesimo piano del policlinico Agostino Gemelli, l’ex presidente della Repubblica Antonio Segni. Accanto a lui la moglie Laura, i quattro figli Celestino, Giuseppe, Paolo e Mario con le nuore, il medico curante professor Breda e il medico personale professor Giunchi. La notizia della morte è comunicata al Senato dal vicepresidente Spataro.
Sempre il 1º dicembre, a Torino,  il pugile Bruno Arcari conserva il titolo mondiale dei Welters junior vincendo ai punti contro lo sfidante Costa Azevedo.
Il 3 dicembre a Roma: viene arrestato il boss mafioso Tommaso Buscetta. Estradato dal Brasile, dovrà scontare 14 anni di carcere. Diventerà la gola profonda di Cosa Nostra e inaugurerà la stagione del pentitismo di mafia.
Il 14 dicembre a Bonn viene eletto cancelliere il socialdemocratico  Willy Brandt. Sarà il fautore della c.d. Ostpolitik, la politica di apertura verso l’Est che, indebolendo l’Unione Sovietica, porterà alla riunificazione della Germania nel 1989.
Il 15 dicembre viene  approvata la legge n. 773 (legge Valpreda) con la quale viene concessa la libertà provvisoria prima della sentenza anche agli imputati per reati gravi che siano in attesa di giudizio da lungo tempo. Grazie a questa legge, l’anarchico Pietro Valpreda verrà scarcerato dopo tre anni di ingiusta detenzione.
Entra  in vigore in via definitiva la legge 772 che permette l’obiezione di coscienza al servizio militare.
Il 19 dicembre l’Apollo 17 ammara nell’oceano riportando a casa Eugene Cernan, Ronald Evans e Harrison Schmitt. È la conclusione della prima (finora) esplorazione umana della Luna.
Il 21 dicembre: Germania Ovest e Germania Est si riconoscono vicendevolmente.
A scuola rientrammo l’8 gennaio, dopo l’Epifania, come d’abitudine.
Per il secondo anno consecutivo, però, il rientro dalle vacanze di Natale non segnò la fine degli scioperi.
Adesso si riprendeva a protestare già dopo qualche settimana di studio (a ridosso delle interrogazioni di fine quadrimestre) e poi si proseguiva,  tra alti e bassi,  sino ad aprile-maggio, quando con gli appuntamenti  canonici ed  imprescindibili, del 25 aprile e del 1° maggio ci si ritrovava nelle piazze per chiudere la stagione delle proteste.
Gli animi degli studenti erano dunque ormai accesi praticamente per tutto l’anno scolastico.
Uno dei temi nazionali, oltre al tema delle stragi di Stato, ormai entrato nel linguaggio extra-parlamentare corrente, era quello del riconoscimento dei diritti agli studenti  di dibattere all’interno dell’orario scolastico. La rivendicazione scandalizzava i benpensanti e i reazionari che invece ribattevano come gli studenti dovessero pensare soltanto a studiare  (e ad obbedire).
Il disegno di legge n. 2728, che prevedeva una delega del parlamento al Governo per il riordino della scuola, stazionava in commissione sin dal 1970.
Dopo una serie di rimaneggiamenti questo disegno portò alla legge delega 477/1973, la madre del riordino scolastico con cui vennero concessi agli studenti i diversi diritti che essi reclamano sin dal 1968, tra cui il diritto alle assemblee d’istituto e alle assemblee di classe (oltre che alla rappresentanza studentesca nel consiglio d’istituto).
Motivo per cui  le manifestazioni ripresero a metà gennaio,  subito dopo l’inizio delle lezioni.
Eppure l’anno era iniziato sotto gli auspici dell’allargamento della CEE alla Danimarca, alla Repubblica d’Irlanda e del Regno Unito (il cui ingresso era stato a lungo ostacolato dal generale De Gaulle che, come ogni buon francese che si rispetti, non amava molto gli Inglesi).
Ormai ci si incontrava molto spesso anche al pomeriggio. Nelle accesissime  discussioni, che si svolgevano per lo più alla Casa dello Studente di Magistero (allora sito nella Piazza d’Armi di Cagliari) si mischiavano i  massimi sistemi ed i temi di politica internazionale (la lotta di classe, la repressione della borghesia, lo sfruttamento del proletariato, la guerra del VietNam) con i problemi di pratica  quotidianità (la pendolarità, la mensa degli studenti, da estendere anche a noi degli istituti superiori, la carenza di laboratori,  palestre e strutture scolastiche in generale).
Erano temi più grandi di noi ma Dio sa se sulla maggior parte di essi non avevamo ragione. Io, per esempio, non sono mai entrato in un laboratorio e non ho mai usato una calcolatrice messa a disposizione dalla scuola; e per le lezioni di Educazione Fisica (oggi la materia si chiama “Scienze Motorie”) dovevo andare in contro turno al campetto della Rai di Viale Bonaria.
E per quanto riguarda i temi di più ampio respiro, se proviamo a sfrondare i discorsi di allora dai fronzoli e dai manierismi sessantotteschi, oggi non parleremo forse di sfruttamento del capitalismo o di lotta di classe, ma di redistribuzione più equa della ricchezza nazionale. E per quanto riguarda il VietNam e gli USA, beh, sappiamo tutti che ci sono a capo di quei Paesi due capoccioni fuori di testa, smaniosi di dare l’avvio alla più cruenta e distruttiva guerra mondiale che la Terra abbia visto, dai tempi della guerra di Troia ai nostri giorni!
C’erano, come ho già scritto, anche dei gruppi politici organizzati: Lotta Continua, Il Movimento marxista-leninista, I Maoisti, su Populu Sardu, Servire il popolo,  e altri che adesso non ricordo; ma molti di noi studenti, e io fra questi, in realtà volevano soltanto una società più giusta, un’alternativa allo strapotere democristiano (che sembrava non avere rivali), e non avevamo un inquadramento politico vero e proprio.
Ecco uno scampolo tratto dai volantini in ciclostile, frutto di quelle nostre fumose ed accalorate riunioni:
“ STUDENTI! Ancora una volta la repressione colpisce il movimento di massa degli studenti in lotta. Ciò è quanto avvenuto al liceo classico Siotto dove gli studenti dell’Artistico in sciopero si erano recati per affrontare il problema dell’edilizia scolastica, dove la polizia è intervenuta nel corso della libera assemblea per prendere le generalità degli studenti. Ma gli studenti del Siotto e dell’Artistico non si sono fatti certo intimidire dai servi della borghesia ed anzi, tutti assieme, si sono recati in Facoltà di Lettere dove, nonostante il tentativo del Rettore, gli studenti hanno proseguito lo svolgimento dell’assemblea. PER COMPRENDERE NEL SUO VERO SIGNIFICATO QUANTO E’ AVVENUTO AL SIOTTO E NELLA FACOLTA’ DI LETTERE BISOGNA INQUADRARE TUTTO CIO’ NELLA POLITICA CHE LA BORGHESIA ITALIANA STA PORTANDO AVANTI SU TUTTI I FRONTI. Il capitalismo italiano si dibatte in una profonda crisi. Questa crisi trae origine dai fattori interni del capitalismo e del suo sistema di sfruttamento. Da una parte vi è un piccolo numero di sfruttatori e dall’altra le vastissime masse lavoratrici e popolari le quali prendono coscienza sempre più che questo sistema è contro di esse.”
E’ ben vero che su mille studenti scioperanti, ai cortei ci ritrovavamo in cento; e di questi cento,  soltanto dieci partecipavano alle riunioni dei collettivi nelle varie sedi che si offrivano di ospitare i dibattiti degli studenti in lotta. La maggior parte degli studenti preferivano imboscarsi con le ragazze nei ritrovi della zona del Castello, la parte medioevale di Cagliari, strapiena di club privati (come si chiamavano allora i ritrovi sociali giovanili), dove si faceva di tutto: ballare, fumare, sfranellare e anche il resto.
Ma io avevo addosso il sacro fuoco della rivoluzione, e fedele ai miei principii e alle mie scelte, proseguivo e persistevo nella lotta senza tregua contro le istituzioni.
A pensarci bene, non mi sarebbe convenuto farmi una ragazza e imboscarmi come gli altri in un circolo di Castello?
Non solo mi sarei risparmiato tante arrabbiature, ma mi sarei sicuramente divertito di più!
Invece, sulle ali del mio impegno politico, passai, forse senza rendermene conto, quel segno che qualcuno aveva tracciato per terra come limite massimo della protesta.
In seguito a un’assemblea negataci dal preside  io mi recai nelle classi e, interrompendo sfacciatamente le lezioni, convocai l’assemblea permanente.
Alcuni docenti non gradirono evidentemente la mia interruzione e mi segnalarono al preside.
Non so se il Capo dell’istituto segnalò la cosa al di fuori della scuola (non l’ho mai saputo; e se lo ha fatto, tutto venne archiviato) ma so per certo che riunì il Consiglio di Classe e chiese l’adozione di seri provvedimenti. Si formarono all’interno del Consiglio di Classe due fazioni: una era per la linea dura e implicava, con la sospensione sine die della frequenza, l’ espulsione dalla scuola; un’altra propugnava invece una linea più morbida, di comprensione, che prevedeva la sospensione temporanea, per un massimo di 15 giorni, anche per il fatto che il mio profitto scolastico, nei cinque anni, era stato, tutto sommato, più che buono. Alla fine prevalse la linea morbida, anche grazie all’intervento di mia madre che si precipitò a scuola a perorare la mia causa, pregando i miei docenti di non rovinare la mia carriera scolastica e la mia stessa vita (si sa come sappiano essere melodrammatici i cuori di mamma per i loro figli, sempre innocenti, bravi ragazzi o tutt’al più birichini). Ciò non mi evitò comunque  una bella sospensione di 15 giorni, con annessi e connessi.
Voglio precisare, per concludere, che la nostra era più una protesta culturale e sociale, piuttosto che politica.  Volevamo molto semplicemente  più spazi per i dibattiti all’interno della scuola e un ruolo costruttivo (magari in unione con gli operai) fuori dalla scuola. 
Volevamo più libertà di pensiero; odiavamo l’autorità costituita e la scuola gerarchica e schematizzata di stampo ancora fascista (o così sembrava a noi).
Io, pur condividendo gran parte delle rivendicazioni studentesche di quegli anni,  rifiutavo per indole e per istinto la contrapposizione violenta tra gruppi estremisti di sinistra e gruppi estremisti di destra.
Detestavo (e detesto tuttora) ogni forma di violenza. I miei idoli erano Kennedy, Marthin Luther King e Gandhi; e della religione mi affascinava soltanto Gesù, con la Sua mitezza, la Sua innocenza, il Suo amore per gli ultimi e i diseredati, mentre detestavo con tutta la forza dei miei diciotto  anni le gerarchie vaticane (non è che mi facciano impazzire neanche tutt’oggi; a parte papa Francesco, naturalmente).
Questo mio amore per Gesù lo pagai a caro prezzo all’esame di maturità (come si chiamava allora l’esame conclusivo di licenza superiore).
Ma questo fa già parte della prossima puntata.
Con il mio allontanamento da scuola e la mia sospensione,  gli scioperi e le proteste ebbero termine.
Le emozioni e i sentimenti che provai in quei quindici giorni passati a casa, lontano dalla scuola, furono assai intensi e contraddittori.
Passavo dal pentimento alla rabbia; dal vittimismo al desiderio di rivalsa; dalla rassegnazione ad un senso di sollievo perché, tutto sommato, poteva anche essermi andata peggio; quindi subentrava un sentimento di disagio e di inadeguatezza, dovuto  all’incapacità di ricapitolare razionalmente quanto mi era successo e, a momenti, perfino un sentimento di frustrazione per non poter tornare indietro, per riavvolgere gli ultimi avvenimenti occorsi ed imprimergli un finale meno umiliante e amaro.
E in fondo all’animo riflettevo sulla condizione umana. Pensavo che siamo come i bagagli degli aeroporti. Qualcuno, un giorno, ci confeziona e ci imbarca; così iniziamo un viaggio lungo e contorto.  Se superiamo ostacoli e tragitti, finalmente  vediamo la luce, attraverso l’uscita del  nastro trasportatore che ci immette nella sala di recupero dei bagagli dove, se tutto va bene, qualcuno è ansioso di prendersi cura di noi. In casi estremi , ma non è raro, possiamo anche perderci per dimenticanza o menefreghismo degli stessi soggetti che ci hanno concepiti. E se vediamo la luce della sala d’attesa, uscendo da quel buffo carosello che si chiama nastro trasportatore, inizia la nostra vita. E siamo come pantaloni, cappelli, cravatte, camicie, giacche, mosse dal vento, spinti talvolta così lontano,  da non ritrovare neppure la strada per ricongiungerci a chi sembrava così affezionato da non poter vivere senza di noi.
O forse,  se siamo fortunati,  siamo come la pioggia, che scende da cielo sulla terra, la feconda, e poi evapora e ritorna in cielo.
Io mi sentivo come una pietra di fiume, rovente e immobile nel greto secco, rotolando a valle sotto lo scorrere dell’acqua nei periodi di piena, capace di aggregarmi, lungo il percorso, con chiunque mi fosse capitato vicino: alghe, pesci, altri ciottoli rutilanti, oggetti organici e inorganici coinvolti con me in quel viaggio senza altra meta che una indefinita valle dove attendere un’altra stagione di pioggia o di sole per poter ricominciare tutto da capo.
Passavo le giornate ascoltando le canzoni che allora andavano per la maggiore: Alice di  Francesco De Gregori; E mi manchi tanto degli  Alunni Del Sole; Erba di casa mia di  Massimo Ranieri; Vento nel vento, Il mio canto libero e  Io vorrei non vorrei ma se vuoi di Lucio Battisti;  Viva l’Inghilterra di  Claudio Baglioni; Vado via di Drupi;  Canzone intelligente di  Cochi e Renato; Crocodile rock e Daniel di  Elton John;   Walk on the wild side di  Lou Reed; You're so vain di  Carly Simon e tante altre di cui cercavo gli accordi sulla chitarra, testardamente, per ore ed ore.
Quando rientrai a scuola feci appena in tempo a prendere visione del programma svolto e delle cose da studiare che fu subito Pasqua. Riuscii a recuperare e a ottenere la sufficienza in  tutte le materie. Così venni ammesso a sostenere l’esame di maturità.
Sfortuna volle però che venisse designato come Commissario Interno il docente  di Inglese, un certo prof. Zucca (che io avevo soprannominato Joe Vernaccia) e che apparteneva all’ala dei duri del Consiglio di Classe (cioè di coloro che mi avrebbero ben volentieri fatto fuori per sempre). 
Oltretutto, ma questo lo scoprii dopo, qualche carogna di compagno di classe gli aveva riferito del soprannome che gli avevo rifilato.
A quel tempo i commissari esterni si affidavano completamente al commissario interno per conoscere la personalità del maturando, anche se i voti e un giudizio sommario stabiliti dal consiglio collegialmente potevano comunque fornire una indicazione, seppure soltanto provvisoria  e non certo decisiva. L’esame consisteva in due scritti (italiano e materia di indirizzo) e in un colloquio comprendente quattro materie designate in precedenza in parte dal Ministero e in parte dal Consiglio di Classe. Di queste quattro una veniva scelta dal candidato e l’altra, a sorpresa, dalla commissione d’esame (in realtà era invalso l’uso di consentire la scelta, tramite il commissario interno, anche della seconda materia).
Insomma l’esame non era un granché difficile.
Io scelsi il tema che invitava il candidato ad esporre con parole sue il significato che egli attribuiva all’art. 11 della Costituzione. Era un tema sulla pace. Io ero per la pace, lo sono sempre stato e sempre lo sarò.
Nel tema parlavo dei miei idoli di allora: Marthin Luther King, il Mahatma Gandhi, Gesù Cristo (che allora riconoscevo e ammiravo come Uomo, vittima dell’incomprensione e della protervia degli uomini di potere; mentre oggi lo riconosco anche per quel che Egli effettivamente è: il Figlio di Dio sceso in terra per la nostra salvezza).
Ma il commissario interno mi aveva presentato come un sovversivo, rivoluzionario e di sinistra (e forse, chissà,  anche un potenziale terrorista).
Sostenne  che io avevo cercato di ingraziarmi la commissione presentandomi come un agnello innocente mentre in realtà ero un lupo.
Per farla breve il mio esame fu un disastro. Ma per fortuna riuscii a superarlo. Un altro anno in quella scuola non lo avrei davvero voluto fare.
E neanche loro, probabilmente, mi ci avrebbero voluto.
Ironia della sorte, la mia tesi all’Università, molti anni dopo,  avrebbe avuto ad oggetto la risoluzione pacifica delle controversie internazionali in ambito ONU.
Mio relatore sarebbe stato  il vecchio  Preside, l’esimio prof. Giovanni  Pau, grande internazionalista, che sarebbe riuscito a farmi dare il massimo punteggio che poteva essere  assegnato per la tesi, in proporzione alla media dei voti riportati (il che mi portò ad una votazione che veniva definita, al tempo, come corrispondente ai “pieni voti legali”).
Ma questo fa già parte di un’altra storia.
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