Io credo che ogni
generazione subisca le influenze del suo tempo e dell’ambiente in cui cresce e
matura le sue esperienze. Queste influenze, a metà con i caratteri biologici
iscritti nel nostro DNA, determinano gli eventi della nostra vita; o ciò che
noi chiamiamo destino.
Io appartengo a una generazione che ha vissuto
su un piano strettamente spirituale, filosofico e culturale, la grande
stagione della rivoluzione del 1968, mentre sul piano materiale ha subito,
sempre negli anni sessanta, l’influenza del boom economico.
Ma al contrario di ciò
che è successo in altri paesi europei e negli Stati Uniti, in Italia il ’68 non
è durato soltanto una stagione.
In
Francia, ad esempio, il movimento ‘ 68
si spense, ironia della sorte, l'anno seguente, in coincidenza con la caduta politica di De Gaulle; in Gran Bretagna le classi
politiche dirigenti, con i Lords in testa, memori di quanto successo ai
nobili nel 1798 e nel 1848, preferirono
cedere alcuni privilegi e fare delle concessioni, al fine di perpetuare le loro
rendite parassitarie; e così accadde anche in altri paesi europei di più antico
lignaggio.
L’ Italia, che aveva compiuto da poco i suoi 100 anni di unità
politica, reagì diversamente e le cose presero un’altra piega. Non saprei dire
il perché e questa, in fondo, non è neppure la sede adatta per fare un’analisi
di quei motivi.
Posso e debbo dire però
che il movimento rivoluzionario italiano del '68 si trascinò per almeno un altro decennio.
In questo lasso di tempo
non tutti quelli che avevano conosciuto il ’68 proseguirono a fare i
rivoluzionari. Anzi, una buona parte dei giovani rampanti ribelli, finita la
frenesia che elettrizzava l’aria in quel magico anno, finirono per cedere alle
sirene del boom economico e del consumismo che ne era derivato.
Gli altri, quelli che la
ribellione ce l’avevano nel sangue, proseguirono ancora per qualche anno, senza
mollare di un solo centimetro nei confronti del potere formalista e borghese al
quale avevano dichiarato guerra . Ma una parte di loro si accorse presto che si
trattava di una battaglia persa in partenza e, a un certo punto, abbandonarono
il campo cercando di dimenticare la delusione della cocente sconfitta, chi alla
ricerca di una carriera alternativa, chi nei tortuosi sentieri della droga, chi
fuggendo lontano.
Soltanto gli irriducibili
restarono sul campo e imbracciando le armi vere combatterono la loro rivoluzione fatta di illusioni e di
teorie astratte, elaborate da filosofi sognatori, frutto di pensieri malati, fondate sul nulla.
Tanto ciò è vero che il loro assunto di base, la dittatura del proletariato, mancò
proprio di quello che doveva essere l’autore principale e l’interprete della
vittoriosa e gloriosa rivoluzione: il proletariato.
In nome di queste teorie astruse, questi
intellettuali malati di megalomania e di protagonismo storico (compagni che
sbagliano, li chiamò troppo benevolmente qualcuno), disseminarono il terrore per
tutta l’Italia, proclamando in deliranti comunicati l’avvento di improbabili
vittorie e chiamando alla rivolta un popolo inesistente e comunque
indisponibile a seguirli in quella strada insanguinata di autentica violenza
intrisa di vani sogni e deliquio.
E finirono per divenire
gli zimbelli di quei capitalisti e imperialisti tanto odiati, come avvenne
nella triste vicenda di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse che conclusero la loro ingloriosa carriera dando compimento a un disegno criminale, che proprio i servizi segreti deviati
italoamericani, avevano ordito in odio al presidente della Democrazia Cristiana,
reo soltanto di essere un politico intelligente e coraggioso, che aveva
compreso che l’Italia poteva salvarsi spezzando l’accerchiamento in cui i sovietici e gli americani avevano
intrappolato la sua amata patria.
Ma per rendere onore
all’altra America, quella dei poeti della beat generation e dei figli dei
fiori, vorrei evidenziare come le radici della grande rivoluzione del 1968
affondino anche in quel grande paese e in quegli intellettuali, poeti e sognatori che, anziché perseguire la
violenza, propugnarono una rivoluzione pacifica che alla violenza del potere di
Washington oppose il profumo e la bellezza dei fiori di San Francisco.
Siamo debitori di quei
pensatori americani che con le loro immaginifiche visioni hanno
inneggiato a un mondo di pace e fratellanza, a una società che ripudiasse la
guerra, a un consorzio umano universale che congiungesse la saggezza millenaria
dell’oriente con l’organizzazione tecnologica dell’occidente, in un
progetto di condivisione delle risorse umane e delle ricchezze della terra che
ripudiasse ogni egoismo, ogni prevaricazione nazionalitaria e populista, oggi,
purtroppo tornate di moda.
E in questo mio inno di grazie non posso e non
voglio tralasciare neanche gli intellettuali europei come Jean Paul Sartre,
Herbert Marcuse, Bertrand Russell, George Orwell, Aldous Huxley e tanti altri che qui mi
scuso di dimenticare.
continua...
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